Cronache

I troppi fantasmi di una strage americana

Nuova tragedia di una nazione attraversata dalla violenza. A prescindere dal terrorismo

I troppi fantasmi di una strage americana

Le mitragliatrici falciavano lentamente la folla mentre la musica del concerto country andava avanti, domenica notte a Las Vegas, Nevada. Trenta secondi di fuoco intensissimo, poi un quarto d'ora di raffiche sporadiche come in un film di guerra, che sfoltivano una folla riluttante a comprendere di essere il bersaglio mobile, con le persone che cadevano fulminate o urlando nel sangue. Ci sono voluti lunghi minuti per capire che la tragedia americana era di nuovo in scena e che il dio della mattanza è cieco, incomprensibile e privo di sentimenti. Un dio dell'inferno che porta la morte e chiede la propria morte. E forse in questa distruzione di soggetto e oggetto sta la contiguità con il terrorismo degli attentatori suicidi, che sbranano se stessi per sbranare gli innocenti.

Tutti pensavano, udendo le raffiche, a un effetto speciale per un concerto speciale in un luogo che esiste soltanto per i suoi trucchi, fuochi, illusioni. Invece era tutto vero e reale: i colpi partivano da un arsenale di armi collegate fra loro e fissate da tempo in una stanza d'albergo al trentesimo piano dell'hotel che guardava la platea. Un uomo senza storia, uno sconosciuto Stephen Paddock di sessantaquattro anni, ha lavorato a lungo per preparare gli attrezzi con cui ha cancellato sei decine di vite umane oltre alla propria. Per la prima volta, i feriti sono mezzo migliaio. L'organizzazione dell'emergenza americana ha fatto miracoli per contenere i danni della tragedia americana. Così è andata in onda la cronaca dell'America versus l'America, il bene contro il male, la demenza satanica e l'organizzazione dei soccorsi. Ma fra le due ha vinto quella del «pure evil», il «male assoluto», come lo ha chiamato Donald Trump. L'America della malvagità pura che domenica si è espressa sotto forma di un mattatoio per mitragliatrici e orchestra.

C'entra l'Isis? Il Califfato ormai rivendica anche i morti stradali, ma a Washington e all'Fbi nessuno si vuole sbilanciare, come del resto fanno i francesi per gli accoltellamenti di Marsiglia dove lo sgozzatore di due ragazze è stato ucciso mentre gridava «Allah u Akbar». Non risulta che Stephen Paddock abbia detto o scritto qualcosa prima di ammazzarsi nella stanza d'albergo in cui aveva piazzato la sua sinfonia di armi automatiche.

Il fratello dell'assassino di massa era sbalordito. Per ora, dunque, possiamo dire soltanto che l'orrore di Las Vegas somiglia, in dimensioni moltiplicate e ancora più angosciose, a tutte le altre tragedie americane.

Las Vegas è nata per lungimirante iniziativa di un gruppo di gangster del secolo scorso ed è sempre stata considerata un non-luogo strappato al deserto. Ma ora è uguale a tutti gli altri luoghi dell'orrore americano, salvo il college di San Bernardino in California dove una strage fu perpetrata da una coppia di terroristi islamici. Las Vegas ha perso lo smalto di tempio maledetto del gioco e del denaro, per diventare un posto in cui godere musica con un aereo a prezzi scontati, un luogo per famiglie. E in un luogo simile, come al «Bataclan» di Parigi il 13 novembre del 2015, musica e sangue si sono mescolati con la morte e la paura. Gli esseri umani correvano sulla Strip di Las Vegas piegati in due, le madri gridavano ai figli solo «abbassa la testa». La parola chiave da tenere a mente è shooting: non soltanto sparatoria, ma la trappola genetica americana che non è di destra né di sinistra, ma soltanto un orrore liquidato come follia o malvagità e che invece contiene un fattore maligno che la politica non è in grado di arginare.

A noi italiani ha fatto forse effetto sapere che lo sceriffo eroe, l'uomo che ha salvato decine di vite con la sua macchina organizzativa, si chiama Joe Lombardo. È un po' il tipo di effetto che provammo quando un uomo con un cognome italiano, Rudolph Giuliani, affrontò da eroe la tragedia dell'11 settembre 2001. Le televisioni seguitano a diffondere i video con il cantante country che indossa il suo enorme cappello western mentre sopra le scritte al neon dell'albergo sovrastante cominciavano a sparare le armi collegate ad arte, se si può parlare di arte. Perché frammenti di pallottole hanno storpiato e accecato e azzoppato donne e bambini.

Di questo a quanto pare gli sciacalli dell'Isis gioiscono e rivendicano, ma la tragedia americana prosegue e proseguirà per giorni con il profluvio delle costernazioni. Trump sarà a Vegas domani, ma intanto è arrivato al podio della Casa Bianca con un quarto d'ora di ritardo sul previsto per leggere sul gobbo un discorsetto scritto in fretta e furia dal suo staff.

L'America politica per ora è unita intorno al presidente, e non è una grande consolazione.

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