Cronaca locale

"Il boss Papalia non è più pericoloso"

La Corte d'appello riabilita il capo della famiglia di Buccinasco. Ed è polemica

"Il boss Papalia non è più pericoloso"

Il suo nome ha evocato per anni lo sbarco della 'ndrangheta al nord: Rocco Papalia, calabrese di Platì, arrivato negli anni Sessanta insieme ai suoi fratelli Domenico e Antonio. Tra Assago e Buccinasco, le ruspe dei Papalia spostavano montagne di terra e montagne di voti. Le indagini ronzavano intorno a loro senza incastrarli mai: «Sono il re dell'insufficienza di prove», scherzava Rocco.

Poi arrivarono i mandati di cattura, i maxiprocessi, le condanne. Rocco Papalia è uscito dal carcere dopo venticinque anni, ormai quasi vecchio, nel maggio scorso: ed è tornato a Buccinasco. É partito subito l'allarme delle associazioni antimafia, che temevano il suo ritorno al potere. E la magistratura gli ha applicato un vecchio decreto di sorveglianza speciale, emesso nel 1994: divieto di uscire da Buccinasco, proibito circolare dopo il tramonto.

Ieri, la Corte d'appello di Milano annulla quel decreto, con una decisione destinata a sollevare qualche polemica e a venire impugnata in Cassazione, secondo quanto deciso ieri, dalla Procura generale. Rocco Papalia non è più pericoloso, dice la Corte d'appello. E lo dice con un ragionamento che ruota intorno a temi delicati. Può un condannato per reati di mafia tornare nel consesso civile, anche se non ha mai confessato e collaborato? O va considerato un criminale a vita, salvo propria contraria?

Pochi giorni dopo la scarcerazione, i carabinieri di Buccinasco avevano scritto che Papalia era pericoloso a causa della «ritenuta attualità della presumibile appartenenza ad una consorteria di tipo mafioso», dimostrata dal suo «inserimento organico in una comunità che si è costituita e si mantiene illecitamente e con la violenza». Sono affermazioni che la Corte d'appello ritiene prive di basi concrete d'appoggio: «Tali comunicazioni sono fondate su rapporti pregressi del Papalia con ambienti malavitosi di primo piano, ma non consentono di ricavarne una concreta attualità, anche solo indiziaria; il giudizio di persistenza della pericolosità sociale è ancorato a rapporti di parentela o di affinità, in sè non certo sufficienti; e non dimostrata è la presunzione di prosecuzione dei rapporti criminali».

Il decreto riepiloga il percorso carcerario del boss, «connotato da regolarità di condotta» e da elementi che «denotano l'allontanamento del Papalia dagli ambienti malavitosi che ne hanno contraddistinto la prima parte della vita». «Del resto - sottolinea il decreto - non assegnare valore positivo a tali specifici elementi significherebbe negare il valore socializzante e rieducativo della pena».

Tra gli elementi che dimostrano la pericolosità di Papalia, c'era secondo i carabinieri l'assenza di un lavoro e un reddito regolari. «É fatto notorio - ribatte la Corte d'appello - la difficoltà di reperimento di un rapporto di lavoro per una persona dell'età del Papalia, con un passato carcerario tutt'altro che trascurabile».

E comunque, aggiungono i giudici, Papalia ha una moglie che lavora e lo può mantenere onestamente. La Cassazione sarà dello stesso avviso?

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