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Accusato di razzismo dal Washington Post, 16enne fa causa per 250 milioni

Nicholas Sandmann, lo studente del Kentucky reso celebre dal video virale in cui guarda impassibile un nativo americano, ha fatto causa al Washington Post per 250 milioni di dollari affermando che il quotidiano lo avrebbe diffamato nel descriverlo come un razzista

Accusato di razzismo dal Washington Post, 16enne fa causa per 250 milioni

Il mese scorso Nicholas Sandmann era balzato agli onori delle cronache per un video virale che lo ritraeva mentre guardava impassibile un nativo americano durante una manifestazione. Ora il 16enne studente del Kentucky ha fatto causa al Washington Post per averlo accusato di essere un razzista. Sandmann ha infatti citato in giudizio il quotidiano per diffamazione, chiedendo un risarcimento record di 250 milioni di dollari, esattamente la stessa cifra con cui il miliardario e fondatore di Amazon Jeff Bezos rilevò la testata nel 2013. Nella causa intentata dal giovane si può leggere come il Washington Post abbia preso di mira e messo alla gogna mediatica l'adolescente con il solo scopo di confermare ed alimentare il proprio pregiudizio politico contro il Presidente Donald Trump. Sandmann infatti è uno studente bianco di una scuola cattolica che al momento dei fatti stava partecipando ad un corteo anti abortista nei pressi del Lincoln Memorial di Washington Dc, il tutto mentre indossava l'iconico cappellino trumpiano con lo slogan Make America Great Again.

Le immagini del ragazzo immobile e sorridente di fronte al nativo americano, il 64enne veterano della Guerra in Vietnam Nathan Phillips, avevano immadiatamente fatto il giro del mondo scatenando ampi dibattiti sulla mai sopita questione del razzismo negli Stati Uniti, tutto ciò malgrado il giovane non stesse esplicitamente facendo nulla di razzista. Persino una società di investigazioni private assoldata dalla diocesi di Covington - dove ha sede la scuola frequentata da Sandmann - non ha evidenziato alcun comportamento provocatorio o offensivo da parte del ragazzo e degli altri suoi compagni di classe nei confronti del nativo Phillips. Dal canto suo Phillips aveva invece più volte dichiarato come gli studenti avessero iniziato ad intonare la frase "Build the wall" - in riferimento al programma di Trump di costruire un muro al confine con il Messico - ma quando gli investigatori hanno cercato di ricontattarlo per avere delucidazioni in merito l'uomo si è reso irreperibile.

Interrogata sulla questione, la vicepresidente del settore comunicazione del Washington Post Kristine Coratti Kelly ha dichiarato: "Stiamo aspettando di ricevere una copia della causa intentataci per poter pianificare come intraprendere una vigorosa difesa".

In risposta a ciò l'avvocato Lin Wood, difensore del ragazzo, ha affermato come nelle prossime settimane saranno intentate altre cause di questo tipo.

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