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Quella bomba dei vitalizi che condiziona le legislature

Quella bomba dei vitalizi che condiziona le legislature

Quello che sorprende nella polemica sui vitalizi o sulle pensione dei parlamentari è un aspetto, che ha condizionato molto la nostra storia recente, e che invece è completamente sottaciuto: secondo le norme in vigore oggi, deputati e senatori maturano la pensione solo dopo aver svolto il mandato per almeno 4 anni, sei mesi e un giorno. In caso contrario, perdono pensione e contributi versati. Un meccanismo che nasce da un'esigenza giusta, quella di evitare, come succedeva un tempo, che con due anni e sei mesi di mandato si potesse accedere all'assegno pensionistico, ma che ha creato una stortura nel processo democratico di non poco conto, specie in una fase politica come l'attuale, che ha visto un rinnovamento profondo delle rappresentanze parlamentari: questa norma è diventata, infatti, un'arma di pressione, specie verso i deputati e i senatori di prima nomina, i quali sono spinti - l'espressione giusta sarebbe «condizionati» - a garantire che la legislatura abbia la sua durata naturale. E questo, indipendentemente dal fatto che in Parlamento ci siano un governo e una maggioranza all'altezza, che abbiano la fiducia dell'opinione pubblica e che siano nella condizioni di portare a compimento il loro programma.

Uno può dire ciò che vuole, ma è un po' la storia delle ultime legislature. La norma venne inserita nei regolamenti di Camera e Senato nel 2007, un anno dopo l'avvento di Giorgio Napolitano al Quirinale. Un presidente, va ricordato, che ha sempre visto con una certa diffidenza le elezioni, anche quelle a scadenza naturale, figurarsi quelle anticipate. E non è un caso che quella norma venga approvata in quell'anno: Romano Prodi governava con una maggioranza esigua a Palazzo Madama (due soli voti), per cui la nuova disposizione regolamentare aveva lo scopo di compattarla. Ma non funzionò. Ha funzionato egregiamente, invece, nelle due legislature successive, durate entrambe 5 anni: ha contribuito ad evitare le elezioni dopo la crisi del governo Berlusconi nel 2011 e a regalarci il governo Monti con i suoi guai (gli italiani non se li dimenticheranno mai). E le esigenze «previdenziali» di gran parte dei parlamentari hanno condizionato pure la scorsa legislatura: dopo la crisi del governo di Enrico Letta, Matteo Renzi è andato a Palazzo Chigi senza passare le per urne, diventando, suo malgrado, l'ennesimo premier non eletto; ed ancora, dopo l'esito del referendum del 4 dicembre, sempre la stessa norma contribuì ad evitare le elezioni e ad assicurarci un anno e mezzo di inutile governo Gentiloni.

Non poteva essere altrimenti: nella scorsa legislatura, in cui ci fu un 64% di rinnovamento tra i membri di Camera e Senato, nessuno avrebbe mai potuto convincere quei 608 parlamentari ad andare alle urne prima di essersi assicurata la pensione. Grillini compresi. E nell'attuale legislatura, in cui il rinnovamento è stato addirittura più profondo, se si rendesse necessario, sarà ancora più arduo. Giusto? No. Perché l'aver reso impervia la strada verso le urne anche quando gli equilibri politici arrivano al collasso, si è portato dietro una serie di inconvenienti in Parlamento: in questi anni sono nati «responsabili» e transfughi di ogni risma (solo nella scorsa legislatura 580), mossi, soprattutto, dal desiderio di assicurarsi la pensione. Solo che la storia recente insegna che se gli equilibri politici si protraggono a dispetto della volontà del popolo, non c'è poi da sorprendersi che populismi di ogni colore si impongano.

Riflessioni che sfuggono alla classe politica di oggi, vecchia e nuova. Il problema più importante, al di là di privilegi e delle penalizzazioni di ognuno, è che un parlamentare nello svolgimento del suo mandato, nelle sue decisioni, nei suoi giudizi, non sia vincolato da norme che intervengano sulla sua condizione personale. E basterebbe poco: ad esempio, che i contributi di chi non arrivasse a quei 4 anni, 6 mesi e un giorno fossero versati nelle casse previdenziali di riferimento del lavoro svolto prima di entrare in Parlamento (Inps, etc.). Il trattamento riservato ad ogni cittadino. Purtroppo, però, quando si parla di questi argomenti, si resta in superficie, si pensa solo ai trenta milioni che si risparmierebbero sui vitalizi, non alle conseguenze che certe norme hanno sul processo democratico.

Insomma, tutti pensano alle proprie tasche o a quelle degli altri: o per difenderle, o per strumentalizzarle.

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