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Fuoco amico su Schulz: lui rinuncia al ministero

Per salvare il patto con Merkel, il leader Spd obbedisce al diktat dei suoi: molla gli Esteri o salta tutto

Fuoco amico su Schulz: lui rinuncia al ministero

Berlino Doveva essere il fiore all'occhiello del futuro governo di grande coalizione. Martin Schulz, invece, non sarà ministro degli Esteri del prossimo gabinetto Merkel. Lo ha annunciato lo stesso leader socialdemocratico, spiegando che il suo passo indietro giunge in risposta alle critiche giunte da tante voci dentro alla Spd. «Rinuncio a unirmi al governo federale e chiedo allo stesso tempo la fine di polemiche legate ai ruoli personali», ha dichiarato riportando maretta nel panorama politico tedesco.

È dunque durata molto poco la pausa di sereno nel cielo sopra Berlino. Dopo quattro mesi e mezzo di tempo molto incerto, mercoledì scorso la Cdu di Angela Merkel aveva annunciato di aver (quasi) trovato la quadra per formare un nuovo governo di larghe intese con i fratelli cristiano sociali bavaresi della Csu e con i socialdemocratici di Schulz. L'accordo, avevano spiegato i leader dei tre partiti firmatari, restava sospeso fino alla sua approvazione da parte dei 463mila iscritti alla Spd. Ma i giochi erano sostanzialmente fatti: Merkel restava in sella al governo federale concedendo molto ai socialdemocratici. Il cui leader poteva finalmente trovare sistemazione in un ruolo a lui congeniale. Sceso in campo a novembre 2016 per riportare la sinistra al governo in un ruolo da protagonista e non più come comprimaria della leader Cdu, quale leader di partito Schulz ha collezionato una lunga serie di sconfitte elettorali: prima a livello regionale e, lo scorso settembre, a livello federale. Certo, non tutti i tracolli del partito alle urne possono essergli direttamente imputati, ma il suo ruolo di presidente Spd lo ha inchiodato alle sue responsabilità.

Da quando il presidente federale Frank-Walter Steinmeier ha praticamente obbligato la Spd a trovare un accordo con il partito di Merkel, Schulz si è molto adoperato per far avanzare l'agenda socialdemocratica e alla cancelliera ha strappato l'impegno di una Germania più solidale, anche finanziariamente, con i partner dell'Europa del sud.

Allo stesso tempo Schulz si era ritagliato il ruolo di ministro degli Esteri, lontano dalle beghe di un partito affidato alla più popolare Andrea Nahles e vicino invece alle questioni internazionali da lui già trattate da presidente dell'Europarlamento (2012-2017). I dirigenti socialdemocratici non hanno però gradito il salvacondotto che Schulz ha disegnato per se stesso e lo hanno inondato di critiche. «La mancanza di apprezzamento da parte della nuova dirigenza Spd per l'opera da me prestata è purtroppo evidente», si è per esempio lamentato in una intervista con il gruppo Funke il ministro degli Esteri uscente, il socialdemocratico Sigmar Gabriel. Il quale non ha contestato la competenza del leader del partito a decidere chi sarà ministro ma ha ricordato che lo stesso Schulz gli aveva promesso da poco la riconferma.

La voce di Gabriel è sola una delle tante in seno a un partito stufo di un leader che ha cambiato idea su tutto (dall'andare all'opposizione al restare al governo, da restare nel partito a diventare ministro) e secondo quanto riporta la Bild ha dato a Schulz un ultimatum: o ti fai da parte o bocciamo l'accordo con Merkel.

Ieri Martin Schulz ha fatto un passo indietro e Angela Merkel è rimasta senza ministro degli Esteri, seppur ancora soltanto in pectore.

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