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Ipotesi Di Maio premier marcato da Giorgetti. Salvini verso il Viminale

Il grillino impallina i "terzi" come Massolo e promette al Carroccio il 50% dei dicasteri

Ipotesi Di Maio premier marcato da Giorgetti. Salvini verso il Viminale

In tutti i loro incontri, vertici, telefonate e sms, i dioscuri gialloverdi Luigi Di Maio e Matteo Salvini non perdono certo tempo a parlare di «contratti» e «programmi». Quelli sono facili e verranno da sé, se ne possono occupare Rocco Casalino e Claudio Borghi e mettere a punto un apposito schemino.

L'unico vero rovello dei due leader, attorno al quale si stanno spaccando la testa e su cui si è inceppata la Trattativa, è proprio quello di cui negano di occuparsi, ossia i nomi, i posti, le caselle, la distribuzione delle quote ministeriali. A cominciare dall'architrave di tutto, ossia il premier. Di Maio vuole fortemente quella poltrona per sé: non ha mai rinunciato, e ha fatto impallinare tutti i nomi di «premier terzi», e anche quarti o quinti, circolati in questi giorni e variamente sponsorizzati o autosponsorizzati, da Giampiero Massolo («Si è occupato di servizi, sarà della Cia e comunque è amico di Berlusconi», dicono in casa grillina) a Enrico Giovannini a Carlo Cottarelli (che però potrebbe essere recuperato per l'Economia). «Non possiamo fare un governo tecnico, sarebbe ridicolo», spiegano gli uomini della Casaleggio, consci forse che l'operazione finirebbe per sembrare una sorta di governo Monti dei poveri.

Esecutivo politico, dunque: ma per coronare il sogno di sedersi sul seggiolone di Palazzo Chigi, Di Maio deve convincere Salvini a lasciarglielo (contando anche sulle forti resistenze del Colle sul leader leghista) e però ad entrare nel governo anche lui, magari al Viminale. Cosa che il leader del Carroccio vorrebbe evitare (mentre punta su Giorgetti nel ruolo chiave di sottosegretario alla Presidenza). Sul dilemma «tutti e due dentro o tutti e due fuori» si è impantanato tutto. «Salvini sa che sono pronto al passo indietro», dice Di Maio. Ma intanto, per allettarlo, gli sta promettendo una cosa non di poco conto: nonostante l'ampio divario di percentuali elettorali, la Lega può avere lo stesso numero di ministri dei grillini, e scegliere le poltrone che più la eccitano. Visto che in Consiglio dei ministri si vota, l'offerta è allettante. Giorgia Meloni, che Di Maio vuol convincere a sostenere il governo (per non restare appeso a 7 voti di scarto in Senato) offrendogli quel che vuole, si è però messa di traverso: «Votiamo solo se il premier è Salvini o Giorgetti».

Se non si sblocca il premier, è impossibile fare liste di ministri. Ma le voci girano vorticosamente: Belloni o Giorgetti per gli Esteri, alla Giustizia Bonafede o la Bongiorno, ma dice di essere stato contattato da M5s anche Felice Besostri, avvocato del ricorso anti-Italicum. Sullo Sviluppo economico, che dovrà gestire la patata bollente Ilva, sarà scontro: il candidato grillino Fioramonti vorrebbe, secondo i piani del partito, farne un parco-giochi per grandi e piccini; la Lega preferirebbe invece continuare a produrre acciaio, e potrebbe mettere sul piatto il più solido nome di Nicola Molteni. Ma scalpita anche il neofita Franco Bernabè, in passato alla guida di Eni e Telecom.

Alla Cultura aspira il grillino fichiano Carlo Sibilia (secondo cui l'uomo non è mai sbarcato sulla Luna), ma c'è anche un esterno che spera: Massimo Bray, che già lo ha fatto con Enrico Letta ed è vicino a Amato e D'Alema, ma che ha tenuto molto a partecipare alla kermesse casaleggiana di Ivrea. Per le Pari Opportunità si parla di Spadafora, molto vicino a Di Maio. Per l'Istruzione la Lega può proporre il suo responsabile Mario Pittoni, o anche l'economista Alberto Bagnai, che si preferisce tenere lontano dai ministeri economici.

Ma Di Maio accarezza il sogno di un colpo a sopresa: la candidatura del presentatore televisivo Giovanni Floris, molto stimato dai grillini e autore di un recente libro contro la meritocrazia scolastica, dunque assai apprezzato da insegnanti e studenti da Ultimo Banco (che è appunto il titolo).

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