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Partito diviso, governo rotto La May va zoppa alla Brexit

I suoi ministri la mollano, gli inglesi vogliono tornare indietro, gli irlandesi la puntano. E lei chiede aiuto

Partito diviso, governo rotto La May va zoppa alla Brexit

Londra - Un governo che perde pezzi, un partito diviso, un'opinione pubblica che ci ripensa. Sono questi i presupposti che la Premier britannica Theresa May è costretta ad affrontare a poche ore dall'incontro cruciale con il presidente della Commissione Europea Jean Claude Junker e il suo negoziatore per Brexit Michael Barnier. Sabato notte i quattro componenti principali della Commissione per la Mobilità Sociale si sono dimessi per protestare contro un governo che non è riuscito a risolvere il problema delle diseguaglianze sociali nel Regno Unito, come invece aveva promesso agli elettori nel momento dell'insediamento. Il laburista Alan Milburn, che guidava la commissione dal 2012 (e che peraltro aveva appena saputo che non sarebbe stato riconfermato) ha dichiarato che «esistono poche speranze che l'amministrazione May riesca a far diventare più equa la società inglese» riducendo l'enorme divario tra ricchi e poveri. Insieme a Milburn si è dimessa anche l'ex ministro conservatore all'Istruzione Gillian Sheperd. Un danno di sostanza e d'immagine per la May che oggi tenterà di raggiungere un accordo ufficioso con Junker sulla cifra da pagare per la Brexit. Cifra che la signora vuole tenere segreta - come spiegava bene ieri The Independent - sia agli elettori che ai membri del suo partito almeno fino a che non sarà sicura che la controparte abbia accettato la proposta. In questo modo, la Premier, nella settimana del meeting europeo fissato il 14 e il 15 dicembre, potrebbe annunciare il passaggio alla fase 2 dei negoziati, segnando così un punto a suo favore. Se riuscisse nel suo intento la manovra metterebbe a tacere il forte dissenso interno al partito, diviso tra europeisti e euroscettici, ma - sottolinea The Independent - «ancora una volta per mantenere uniti i Conservatori si sacrificherebbero gli interessi della Nazione. Il perchè è presto detto: questo è il partito che ha indetto un referendum nel proprio interesse eppoi ha promesso che uscire dall'Unione avrebbe significato più fondi in servizi per i cittadini. Ma il prezzo per questo divorzio, tra i 45 e i 55 miliardi di sterline, dà l'impressione opposta». Sarà anche per questo che metà degli inglesi adesso vogliono un secondo referendum per decidere se l'accordo finale che il governo porterà a casa va bene oppure no, come rivelato dall'ultimo sondaggio effettuato da Survation Poll. Sempre ammesso che un accordo alla fine ci sia, perchè i nodi irrisolti rimangono parecchi. Uno dei più importanti sono le nuove relazioni tra il Regno Unito, la Repubblica d'Irlanda e l'Irlanda del Nord. Una delle due rimarrebbe nel mercato unico e nell'unione doganale mentre l'altra ne dovrebbe uscire: Dublino ha affermato che il governo inglese non ha ancora un piano e i negoziati restano in alto mare. In soccorso della May è arrivato l'ex ministro alla Sanità Jeremy Hunt che, rivolgendosi ai colleghi di partito, ha dichiarato: «Se non sosteniamo May, non ci sarà nessuna Brexit».

Forse è proprio quello che vogliono in molti.

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