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Renzi processa le banche (e pure papà Boschi)

La Leopolda a testa bassa: istituti guidati da criminali. Oggi chiude il leader: alleanze da decidere in settimana

Renzi processa le banche (e pure papà Boschi)

Al secondo giorno, la Leopolda numero 8 «conta più partecipanti registrati delle altre edizioni», annuncia con legittima soddisfazione Matteo Renzi. Alla faccia, è il sottotesto, di quei titoli dei media che parlano di «Leopolda disertata» e kermesse in crisi.

Meno star, più «popolo della Leopolda» anche attorno ai 90 tavoli tematici, animati da esperti, ministri e parlamentari. E uno dei più gremiti è quello che si occupa di banche, sotto la guida di Franco Mirabelli e Antonio Vazio, membri della Commissione parlamentare d'inchiesta sul pasticcio bancario. Che ancora tiene banco, due anni esatti dopo lo scoppio del caso Etruria, quando la Leopolda venne assediata da alcune decine di azionisti di Banca Etruria che inveivano contro il papà della Boschi e reclamavano risarcimenti milionari. Ora però il Pd ha deciso di giocare in attacco, per tentare di scrollarsi di dosso i residui di una vicenda che è costata cara in termini di consenso.

E dopo l'affondo anti-Visco di Renzi e la guerriglia su Bankitalia nella commissione fortemente voluta dai Dem, dal tavolo della Leopolda parte un nuovo affondo: «Ora sappiamo che le banche sono state a volte amministrate da veri criminali, che hanno taroccato le informazioni ai clienti», attacca Vazio, che oltre ad essere deputato è anche avvocato cassazionista. Parole forti (che potrebbero non far piacere a papà Boschi), che contribuiscono ad accendere la discussione attorno al tavolo, dove siedono anche risparmiatori colpiti. C'è chi attacca Draghi, troppo «morbido» sui derivati, chi ringrazia la commissione perché «grazie al suo lavoro ora potremo costituirci parte civile contro Banca d'Italia e Consob», come spiega ad Huffington Post l'avvocato di Perugia David Apolloni, che rappresenta i clienti truffati delle banche venete. «La vigilanza è da riformare - spiega Mirabelli - perché ci sono strumenti insufficienti e c'è un rimpallo di responsabilità».

Nel pomeriggio, finiti i tavoli, si susseguono sul palco gli interventi, con pochi dirigenti politici (Franceschini, Minniti, Decaro) che si alternano a molti testimoni di storie particolari, secondo il copione della «Leopolda delle origini» cui Renzi è voluto tornare. C'è il sindaco calabrese che tiene avvinta la platea raccontando la sua lotta alla ndrangheta; il signore ottantenne che la commuove con la storia della sua unione civile, celebrata col compagno dopo cinquant'anni di vita insieme, e poco prima della sua morte. Giovani scienziati, esponenti del volontariato, casi giudiziari emblematici di una giustizia spesso ingiusta. Tra tanti interventi, alcuni toccanti e molti inconsueti per un appuntamento politico ordinario, spicca l'assenza di un argomento: lo ius soli. Salta l'intervento del giovane. Non ne parla neppure il ministro degli Interni Marco Minniti, che pure ne ha fatto una bandiera negli ultimi mesi chiedendone a gran voce la rapida approvazione. Parla di immigrazione, Minniti, e di sicurezza e lotta alla criminalità, parla di Pd e ribadisce il suo appoggio a Renzi («Ti ho sostenuto allo scorso congresso e non cambio idea, continuerò a farlo», dice mentre la platea si spella le mani. Ma niente ius soli: segnale che conferma la virata renziana, che punta ad approvare il meno divisivo testamento biologico come riforma di fine legislatura.

Oggi il segretario chiude la tre giorni, con un ultimatum sulle alleanze: entro la settimana prossima, il tormentone va chiuso.

Chi c'è c'è.

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