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Lo sfogo amaro delle vittime di Battisti: «È un criminale. Ma chi lo protegge?»

Rabbia dopo il voltafaccia dei giudici brasiliani: "Ci negano la giustizia"

Lo sfogo amaro delle vittime di Battisti: «È un criminale. Ma chi lo protegge?»

San Paolo - «Le faccio una domanda che mi tormenta da quando mio padre è morto: chi protegge Battisti?». Mi chiama su WhatsApp dopo avere appreso dell'ennesimo dietrofront della giustizia brasiliana, Adriano Sabbadin, figlio di Lino che - quando il 16 febbraio del 1979 Battisti lo ammazzò a Caltana di Santa Maria di Sala (Ve) - non era un imperialista ma si guadagnava da vivere facendo il macellaio. «Sono affranto dall'ennesima beffa che arriva dal Brasile, uno sfregio per noi vittime di quello che io chiamo ancora oggi terrorista» continua con voce rotta dall'emozione Adriano, che oggi gestisce la stessa macelleria dove trovò la morte suo papà. Non dice «ex terrorista» come scrivo, mentre cerco spiegazioni plausibili alla sua domanda «i servizi francesi nella fuga in Brasile, poi il soccorso rosso internazionale con Lula come pedina fondamentale» e chiedo cosa intenda fare ora. «Alcuni consigliano di farmi giustizia da solo, ma gli insegnamenti che mi ha dato mio padre e i valori che mi ha trasmesso me lo impediscono categoricamente. La mia coscienza mi vieta di rispondere con la violenza alla violenza passata ma, a tal proposito, un'altra domanda ce l'ho: com'è possibile che la coscienza di Battisti non lo abbia mai portato a un pentimento?».

Infine, un'ultima considerazione: «Cos'è migliorato per il popolo che lui diceva di rappresentare con l'esecuzione a sangue freddo di un semplice macellaio come mio papà?». Oltre allo sdegno verso il Tribunale Superiore di Giustizia brasiliano (Stj) che martedì scorso ha deciso di rendere di nuovo Battisti un uomo libero togliendogli tutti i controlli atti a evitarne l'ennesima fuga, Adriano ha dunque solo domande, tutte amare, tutte provenienti dal cuore, mentre le risposte le attende dalla giustizia terrena, ammesso che esista. Alberto Torreggiani, figlio di Pierluigi, il gioielliere ucciso lo stesso giorno di Lino Sabbadin, è l'unico da quel giorno a portare, visibili, i segni della brutalità assassina dei Pac, i Proletari armati per il comunismo di Battisti. Che fu condannato in tal caso non per aver premuto il grilletto ma per essere stato il mandante dell'esecuzione, mentre Alberto grazie alla sua volontà ha una vita intensa, fatta di viaggi per lavoro, ma da allora è costretto su una sedia a rotelle. Lo chiamiamo, sottoscrive le parole piene di domande Adriano, aggiungendo che «è complicato trovare una logica nella giustizia brasiliana» oltre a essere «incomprensibile l'idea che Battisti non possa fuggire di nuovo, quando ci ha provato appena 6 mesi fa». Ha la voce stanca Alberto, e lo confermano le sue parole. «Siamo alle solite e sono stufo di rovinarmi il fegato per una causa che, al di là dei periodi elettorali, interessa poco o nulla anche ai politici italiani». Un concetto ribadito anche da Maurizio Campagna, fratello di Andrea, trucidato per mano di Battisti il 19 aprile 1979.

Che anche lui ha una sola richiesta «non definirlo più un ex terrorista perché è solo un criminale».

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