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Toh, il governo gonfia gli stipendi agli statali alla vigilia delle elezioni

Aumenti fino a 2mila euro annui per 250mila dipendenti. «Regalo» in busta a 4 giorni dal voto

Toh, il governo gonfia gli stipendi agli statali alla vigilia delle elezioni

Il «regalino» arriverà a quattro giorni dalle elezioni per i circa 250mila dipendenti delle amministrazioni centrali, cioè ministeri, Inps, Inail e agenzie fiscali. Ieri il Consiglio dei ministri ha, infatti, dato parere favorevole all'accordo del 23 dicembre scorso tra l'Aran (l'agenzia per la contrattazione nella pa) e i sindacati sull'ipotesi di contratto collettivo degli statali. «L'auspicio è che avvenga il prima possibile», ha dichiarato il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, interpellata sulla possibilità che gli arretrati possano essere caricati già nella busta paga di febbraio, pur sottolineando che «ci sono dei passaggi formali», in primis il nulla osta della Corte dei Conti cui dovrà seguire la sottoscrizione definitiva tra i sindacati e l'Aran.

Se l'iter sarà accelerato, i dipendenti pubblici riceveranno entro la fine di febbraio l'una tantum per gli scatti già maturati, che vanno dai 370 euro lordi della fascia retributiva più bassa (la terza) ai 712 di quella più alta, mentre la media si aggira intorno ai 492 euro. Il contratto, infatti, copre tutto il triennio che va dal 2016 al 2018. Gli stipendi vengono pagati entro il 23 del mese, ma è probabile che il «gruzzolo» sia corrisposto con un bonifico a sé stante, separatamente dalla retribuzione. Così, a pochi giorni, dalle elezioni politiche, che si svolgeranno il 4 marzo, gli statali riceveranno l'agognata indennità di vacanza contrattuale, mentre da marzo arriveranno gli aumenti da 85 euro medi. L'incremento salariale sarà compreso tra 63 e 117 euro a seconda della qualifica; inoltre sarà corrisposto un assegno perequativo da 20-25 euro per le retribuzioni più basse in modo da garantire gli 85 euro all'intera platea. Ne consegue che i dipendenti delle amministrazioni centrali nel 2018 avranno una retribuzione lorda più ricca per un ammontare compreso tra i 1.300 e i 2.000 euro circa.

Ecco perché, vista la scadenza elettorale, è lecito ipotizzare che il premier Gentiloni e il ministro Madia abbiano voluto in qualche modo assecondare il segretario del Pd, Matteo Renzi, cui è rimasto lo «zoccolo duro» degli statali per cercare di recuperare consenso. E non c'è miglior modo degli incrementi salariali per raggiungere l'obiettivo. Non a caso il renzianissimo sottosegretario alla Pa, Angelo Rughetti, ha twittato la novella rinfacciando a Berlusconi, Salvini e Brunetta di aver «bloccato» i contratti. Dimenticando, però, che il congelamento delle retribuzioni al tempo era una misura necessaria per evitare l'impennata della spesa pubblica e non a caso guadagnò all'esecutivo del Cav le lodi dell'Ue.

Per completare l'operazione, tuttavia, serve estendere il trattamento agli altre 3 milioni di dipendenti pubblici dei comparti scuola, sanità, sicurezza ed enti locali. «Stiamo lavorando ininterrottamente, l'Aran non si è mai fermata, in particolare sta lavorando molto sul comparto conoscenza che ha dentro la scuola e spero che si arrivi a breve al rinnovo», ha rimarcato Madia. Indennità e aumenti salariali a tutta la pa costano circa 6 miliardi di euro, ma la legge di Bilancio copre la metà (2,8 miliardi). Madia, Padoan, Regioni e Comuni dovranno lavorare su questo.

Il governo, però, ha migliorato il feeling con il sindacato.

E se Susanna Camusso ha liquidato la faccenda come «un atto dovuto» i segretari confederali di Cgil (Franco Martini), Cisl (Ignazio Ganga) e Uil (Antonio Foccillo) hanno salutato l'ok di Palazzo Chigi come «una buona notizia».

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