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Le trame di Casaleggio sul referendum veneto per flirtare col Carroccio

Il guru, assieme ai fedelissimi, ha imposto il "Sì". E Salvini non ha mai rotto con il M5s

Le trame di Casaleggio sul referendum veneto per flirtare col Carroccio

In Veneto gli attivisti non allineati lo chiamano «patto di desistenza». Ma sotto potrebbe esserci qualcosa di più. Con lo zampino di Davide Casaleggio e un ristretto gruppo di parlamentari a fare da «pontieri». Proprio come nella migliore tradizione dei «partiti». Tra la Lega Nord e il Movimento Cinque Stelle il rapporto è catulliano, un odio e amore fatto di litigi, allontanamenti e riavvicinamenti. Dopo l'accordo sul Rosatellum bis c'era stato lo scontro, con i referendum sull'autonomia è scoppiata la pace. Anzi la «Pax Veneta». Eppure nella regione dove il desiderio di federalismo si è dimostrato più forte, i militanti grillini «erano in massima parte per l'astensione» confida uno dei fondatori del meet-up di Venezia. Poi sono stati messi in riga dalla disciplina del Movimento. Spiega l'attivista storico: «Il vero asse che comanda nel M5s è quello Milano-Treviso e l'ordine di appoggiare il referendum è partito direttamente da Milano». Sede della Casaleggio Associati.

Treviso, invece, è la città dell'europarlamentare David Borrelli, fedelissimo prima del guru e poi del suo erede e detentore, insieme al bolognese Max Bugani, delle chiavi di Rousseau. Borrelli, già in veste di consigliere comunale a Treviso, era in buoni rapporti con la maggioranza leghista. Ed è stato il deus ex machina dell'operazione referendum.

A dargli manforte un gruppo di parlamentari veneti. In prima linea il deputato bellunese Federico D'Incà, il senatore Giovanni Endrizzi da Padova e un altro senatore, Enrico Cappelletti, nato nella città del Santo, ma stabilito a Vicenza. E non si è fatta attendere la risposta del segretario leghista Matteo Salvini, due giorni dopo il referendum: «Per il governo sono disposto a parlare anche con i Cinque Stelle».

In questo percorso di tentato riaggancio con la Lega c'è un episodio importante. Il 10 settembre all'Hotel Élite di Vicenza gli attivisti e i portavoce si riuniscono per un'assemblea regionale del Movimento veneto. Su proposta di alcuni consiglieri comunali astensionisti, c'è all'ordine del giorno un punto che prevede una votazione sulla posizione da esprimere al referendum del 22 ottobre. Ma la «mozione» viene stralciata e i parlamentari presenti (Endrizzi, D'Incà e Cappelletti) impongono il Sì. Una posizione ampiamente rivendicata pubblicamente nel post-voto da parte di tutti gli esponenti della «corrente veneta». Con l'aggiunta degli endorsement del deputato Riccardo Fraccaro, molto vicino a Luigi Di Maio, trentino ma nato a Montebelluna in provincia di Treviso.

In questa storia grillina che parte da Milano e arriva in Veneto è importante anche un'altra «lobby». Quella della ReteSi-Salviamo l'Italia. La rete di «aziende e partite Iva» nata sulle ceneri della Confapri e guidata dall'imprenditore trevigiano Massimo Colomban. Ex assessore della giunta Raggi chiamato da Casaleggio per risolvere la grana delle partecipate del Campidoglio. Colomban è stato presentato a Gianroberto Casaleggio proprio dall'eurodeputato David Borrelli. Da anni su posizioni federaliste al limite del secessionismo, l'imprenditore ha difeso le ragioni del Sì all'autonomia anche sugli schermi di Rai 3, ospite della trasmissione Agorà. E dopo la morte del guru è entrato nelle grazie dell'erede Davide.

Sempre sull'asse Milano-Treviso.

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