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Trent'anni dopo, ecco la rivincita di Netanyahu

L'ambasciata Usa a Gerusalemme s'inaugura con il premier all'apice del successo politico

Trent'anni dopo, ecco la rivincita di Netanyahu

di Fiamma Nirenstein

G erusalemme vibra di gioia in queste ore, e anche Netanyahu. Si preparano fuochi d'artificio sulla città di David, le strade sono ornate di fiori, il consolato americano si sta trasformando in ambasciata. Benjamin Netanyahu oltre al fragore della solita battaglia che lo accompagna da quando nel 1967 tornò dagli Stati Uniti a 18 anni per arruolarsi nelle unità speciali in una guerra di difesa da cui non si è mai più, in un modo o nell'altro, riposato, sente però adesso anche il respiro dell'apprezzamento, del pensiero positivo, del sorriso che il mondo nega al suo Paese anche quando ha ragione da vendere nella difesa dei suoi cittadini. Adesso non è così: persino l'Ue, dopo che Israele ha risposto all'incursione iraniana, ha riconosciuto il suo diritto a difendersi. Trump ha strappato il patto con l'Iran contro cui Netanyahu si è battuto solo contro tutti per trent'anni; l'Europa non vuole, ma dà molti segni nei discorsi di Macron e Merkel di cominciare a capire che non bastano i proventi degli affari per renderlo potabile. Il viaggio di Netanyahu a Mosca lo ha visto accanto a Putin mentre l'orchestra dell'Armata rossa suonava Ha tikva, l'inno nazionale israeliano. Il fatto che la stessa notte di martedì, al ritorno, Bibi abbia colpito 50 postazioni militari iraniane sul territorio di Assad protetto dai russi, significa che le ragioni di Israele non vengono ignorate, e che Putin forse capisce che il suo alleato iraniano in questa fase porta più problemi che vantaggi.

Netanyahu in questi mesi è stato addentato dai giudici e dalla polizia fino a trovare tre «testimoni di giustizia» nel suo stesso ufficio, sua moglie Sara è a sua volte interrogata per supposte malefatte. Bibi certamente è un personaggio assertivo, anche brusco. La sua fantasia è colorata, molto espressiva, e nutrita di letture. Il ministro degli Esteri della Tanzania Augustine Philip Mahiga dice che l'intelligente lettura dell'Africa post-ideologica che esce dalla Guerra Fredda ha portato Bibi nei primi posti dell'interesse africano. Così con l'India e con la Cina, col Sud America: Netanyahu ha stretto buoni rapporti col mondo, tanto che una delle solite mozioni presentate all'Unesco con la sicurezza che una votazione automatica avrebbe di nuovo sottratto Gerusalemme al retaggio ebraico, è stata bloccata. Netanyahu ha spostato l'accento da un'affannosa ricerca di accordo coi palestinesi che dicono sempre «no» alla ricerca di comuni interessi con i Paesi arabi sunniti moderati. E così i sauditi hanno aperto i cieli agli aerei israeliani che ora possono volare in India dalla via breve; l'Egitto condivide la lotta contro il terrorismo, il Bahrain dichiara che Israele fa bene a difendersi. I voti per Bibi e il suo Likud toccano ora i 42 seggi. L'economia va forte, Netanyahu ha vinto anche la sua battaglia economica (è un economista laureato) per il libero mercato e ha portato il Pil a essere più alto di quelli europei.

È logico che un primo ministro eletto quattro volte sia coperto d'accuse: la più sbagliata è che odi i palestinesi. Il suo atteggiamento non è guerrafondaio. C'è da aspettarsi che cerchi l'occasione di lasciare anche qui un segno positivo. A Bibi è stato riconosciuto di aver capito, come Churchill con Hitler, il vero pericolo mentre tutti lo negavano. Una scelta che può salvare il mondo.

È la festa dell'ambasciata a Gerusalemme, la festa di Netanyahu.

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