Cultura e Spettacoli

Che spasso Verdone alle prese con le app in cerca d'amore

In "Benedetta follia" l'attore mette in fila una carrellata di tipi femminili esilaranti

Che spasso Verdone alle prese con le app in cerca d'amore

Da «famolo strano» a «famolo in 4G». Dopo 40 anni di carriera Carlo Verdone si aggiorna e, tra social e telefonini, organizza una galleria di tipi femminili esilaranti, che propongono ogni strano sesso possibile proprio a lui, baciapile alto borghese, mollato dalla moglie bisessuale per un'altra donna. Un inconsolabile, il suo Guglielmo, proprietario d'un negozio di articoli religiosi, abituato a vendere papaline e pettìne a preti e monache del Vaticano, ma che scoprirà di voler vivere, non esistere semplicemente, grazie a Luna, la sua nuova commessa (Ilenia Pastorelli, un naturale talento comico), verace ragazza di periferia che lo inizia alle «app» per trovare l'amore. E diverte il suo film comico Benedetta follia (dall'11 in 700 sale con Filmauro, pronta ad aumentare gli schermi se gli incassi lo permetteranno), dov'è sia protagonista, spalleggiato da attrici brave, come l'iconica Maria Pia Calzone, finalmente in un ruolo da donna mite («un mandolino napoletano», per Verdone), sia regista consumato. A metà tra musical, con un surreale numero di ballo pop anni Sessanta da incorniciare (by Luca Tommassini, ispiratosi ad Antonello Falqui) - per la prima volta, Carlo balla con disinvoltura tra preti e monache fetish - e commedia sentimentale dal tono consolatorio, questa fantasia verdoniana è un festival di risate. E scorre una Roma meravigliosa, come tutti la desideriamo: né mozzafiato da Grande bellezza (il fotografo è Arnaldo Catinari), né sordida da «grande monnezza». Soltanto bella e materna, color seppia come nelle malinconiche cartoline anni Cinquanta, tra cupole e lungotevere, dove pure è ripreso un topone in primo piano. «Che fa, ce punta?», chiede Luna al suo principale, lesto a darsela a gambe insieme a lei, alla vista del sorcio fiumarolo. Affetto e ironia, comunque, sull'eterna questione romana, che Verdone liquida con saggezza: «Roma ha sempre la sua poesia e qui l'ho voluta far bella. E il degrado m'ha stufato! Roma merita d'essere truccata e messa nel migliore dei modi». Sono lontani i mesi estivi delle riprese, con la troupe prona, all'alba, a ripulire Pantheon e dintorni, luridi come non ci fosse un domani... E perdoniamo anche l'opaco mare di Ostia color fango, quando Luna e Guglielmo ci si immergono ad agosto.
La parlata burina di Luna, che viene da Tor Tre Teste, ma è una bravissima ragazza, soltanto un po' sfasciona, e delle sua amiche pratiche di ecstasy (ne rifilano una pasticca a Guglielmo, che invece ha chiesto un analgesico) farà ridere, oppure irriterà: dipende dalle latitudini. Però funziona, quando la Pastorelli, con mimica precisa e presenza fisica esibita senza badarci troppo, chiede: «Sorelle, che ve serve?», a due monache entrate nel negozio di paramenti sacri. Risuona il vecchio «A Frà, che te serve?» di democristiana memoria nella sceneggiatura di Verdone, Guaglianone e Menotti, con questi ultimi che hanno voluto indicare a Verdone nuove strade.
«Il mio film parla dei sentimenti ai tempi delle app. Ma è anche la storia di un uomo in difficoltà, che incontra una ragazza, in difficoltà pure lei, ma che lo aiuta a rifarsi una vita. Abbiamo cercato di diversificarci dai miei film al femminile come Stasera a casa di Alice o Io e mia sorella, inserendo l'elemento dello smarrimento e delle applicazioni. Ho cercato di esaltare le mie attrici: fare film, soprattutto oggi, è cosa delicata e non mi perdonerei mai di non aver ben diretto i miei attori. Più vado avanti, più mi sento fragile: non sono un maestro», spiega Carlo, angosciato come suo solito, al debutto dei suoi film.
In Benedetta follia, poi, sono importanti le musiche, che sottolineano ogni emozione: le canzoni struggenti di Franco Battiato e Bruno Martino (Estate, scritta da Califano), insieme a Splendido splendente di Donatella Rettore piovono come il cacio sui maccheroni nell'incipit malinconico e nel lieto fine. «Volevo un film consolatorio, che facesse una carezza a me, ma anche agli spettatori», sottolinea Verdone, che qui duetta con il se stesso più giovane, allo specchio. Il se stesso di Troppo forte (1985), camicia a fiori e bandana.

Dialogo col suo doppio e sogno-balletto psichedelico: Verdone è definitivamente pop.

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