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Percorsi di memoria al “V. Mennella”, Libera ricorda Vincenzo D’Anna

Corteo a Lacco Ameno in ricordo delle vittime della mafia. La testimonianza di Emilio D’Anna, figlio dell’imprenditore ucciso dalla camorra nel 1993 dopo essersi rifiutato di pagare il pizzo. Cinque alberi nel plesso scolastico della Fundera saranno intitolati a cinque vittime della violenza e della criminalità organizzata

Il 21 marzo, primo giorno di primavera, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, si celebra in tutta Italia la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Organizzata da Libera, coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole e realtà territorialmente impegnate a diffondere la cultura della legalità (il presidio di Ischia e Procida, intitolato alla memoria di Gaetano Montanino) la Giornata segna un appuntamento propositivo di risposta e di speranza alla morsa delle criminalità organizzate che strangolano la nostra vita quotidiana insinuandosi nel tessuto sociale, culturale, politico ed economico dei nostri territori.

Sede principale di questa XXIV edizione sarà la città di Padova, ma anche in altri 4000 luoghi in Italia, in Europa, in Africa e in America Latina, si parlerà di memoria e legalità. Il titolo di questa edizione “Passaggio a Nord-Est, orizzonti di giustizia sociale” parla di riscatto civile e ambientale, di economia e di etica, di responsabilità e di libertà, di diritto alla salute e di dignità delle persone. 
Come ogni anno, alle ore 11:00, contemporaneamente in tutti i siti di memoria, ci sarà la lettura dell’interminabile elenco di oltre 900 nomi, per non dimenticare e dare dignità alle storie di tutte le vittime innocenti della violenza criminale e mafiosa. A Lacco Ameno, luogo dove si trova il presidio che ricorda la guardia giurata uccisa nel 2009 in piazza Mercato a Napoli, i giovani studenti dell’Istituto Comprensivo “V. Mennella” scenderanno in piazza, attraverseranno il corso principale del paese per poi dirigersi alla Palestra comunale “V. Aceti”, dove leggeranno i nomi di tanti cittadini, uomini e donne, giovani e adulti, caduti sotto i colpi della criminalità. Nei giorni che hanno preceduto il 21 marzo, Libera ha illuminato le loro storie attraverso le parole dei familiari. Il 14 e il 15 marzo l’Istituto Comprensivo “A. Baldino” di Barano d’Ischia e l’Istituto Comprensivo “V. Mennella” di Lacco Ameno hanno ospitato le testimonianze di Luciana Di Mauro, moglie di Gaetano Montanino e di Emilio D’Anna, figlio di Vincenzo D’Anna, imprenditore edile ucciso il 12 febbraio 1993 per essersi opposto al racket della camorra.

Suo figlio Emilio vive da tempo, insieme alla sua famiglia, a Lacco Ameno. Ogni anno, sfidando il dolore di una ferita mai rimarginata e senza una verità processuale non ancora completamente accertata, racconta la storia di suo padre alle nuove generazioni, trasformando la sofferenza e la rabbia in memoria e impegno. Un esempio per tanti cittadini che ogni giorno non abbassano la testa di fronte alla violenza che mina le relazioni e il tessuto sociale di ogni comunità. Le storie di Vincenzo D’Anna, come quella di Gaetano Montanino, o di tante altre vittime di mafia e criminalità organizzata, meritano di essere raccontate e condivise perché solo attraverso una consapevolezza e un impegno collettivo è possibile sconfiggere quel mostro camaleontico si nasconde nella vita quotidiana di tutti noi. Il bullismo dentro e fuori la scuola, l’odio verso il diverso, il vandalismo, l’incuria e lo sfregio all’ambiente, il mancato rispetto di regole fondamentali per la società civile, lavarsene le mani e non denunciare. Sono tutti comportamenti che possono condurre a qualcosa di più grave, a un “sistema mafioso” che genera altra sopraffazione, paura e violenza. Un sistema fatto di nomi, regole, complicità, misteri, intrecci, connivenze, omertà.

Quelle che ancora oggi impediscono di individuare i killer di Vincenzo D’Anna. Quelli che, conoscendo le abitudini del piccolo imprenditore edile che si rifiutava di pagare il pizzo, piombarono a viso scoperto nel cantiere di Secondigliano chiedendo all’uomo di consegnare i soldi per le paghe settimanali dei suoi operai. D’Anna provò a scappare, ma la manovalanza della camorra gli sparò alle spalle. Un solo colpo, ma mortale. «Mio padre aveva ricevuto diverse minacce dagli uomini del racket» racconta Emilio D’Anna alla platea di giovanissimi del “Vincenzo Mennella” riuniti al plesso Fundera, «ne parlava in famiglia, in più occasioni fu costretto a sospendere i lavori perché gli operai avevano paura e non si presentavano al lavoro. Al tempo stesso si rendeva conto che non poteva cedere a questi ricatti, doveva continuare il lavoro anche se ogni volta che metteva un’impalcatura, arrivava qualcuno a pretendere dei soldi. Quel giorno aveva in tasca 3 milioni delle vecchie lire per pagare i suoi operai, gli assassini lo sapevano perché probabilmente avevano seguito tutti i suoi movimenti. Dopo averlo ferito a morte, mio padre, ancora cosciente, chiese a mio fratello di pagare gli operai. Fu il suo ultimo pensiero».

«Ho dovuto affrontare tutte le difficoltà che la burocrazia e la lentezza dei processi producono per giungere alla verità. Siamo finiti in Cassazione, perché chi ha voluto la morte di mio padre aveva la possibilità di difendersi e fino alla fine ha cercato di sottrarsi al giudizio e alla pena. Che è arrivata, ma per estorsione. Non per l’omicidio. Gli esecutori materiali, infatti, non sono mai stati identificati. Le persone che hanno visto, o sanno, hanno taciuto. Il mandante è stato condannato, ha passato otto anni in galera, si è trasferito a Terracina dove è tornato a delinquere».
Dalla platea di giovanissimi un interrogativo spinoso: in una vicenda così amara, c’è spazio per il perdono? «Il perdono si concede a chi lo chiede, a chi riconosce la sua colpa», risponde D’Anna. «Questo individuo continua a comportarsi e vivere in un certo modo, non si è mai pentito. Chiunque minaccia una persona che svolge il proprio lavoro con onestà e correttezza, è un vigliacco. Un parassita. Il mio invito è a non avere paura di queste persone. Denunciateli, perché dopo la tempesta arriva sempre il sereno. Siate fiduciosi, credeteci.»
Vincenzo D’Anna è solo una delle tante, tantissime vittime della criminalità organizzata. Uomini e donne che hanno lasciato però “un esercito regolare di parenti”, come lo ha definito Maria d’Ascia dell’Associazione Libera, che viaggia in tutta Italia e racconta la storia dei propri cari. «Come ha ricordato Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, il dolore si deve trasformare in impegno. La memoria privata diventare memoria collettiva, come la nostra storia o quella di un amico, perché la responsabilità è di tutti noi.»

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Egidio Ferrante ha osservato che Ischia, pur essendo lontana dalle periferie degradate o dai sanguinosi scenari di guerriglie malavitose, non può dirsi immune all’illegalità. «La camorra e la mafia sono in grado di infiltrarsi dappertutto, in particolare nel tessuto economico. Talvolta, inconsapevolmente, alimentiamo noi stessi l’illegalità.»
L’attivista ha poi donato all’Istituto comprensivo “Vincenzo Mennella” una maglietta sui campi estivi di Libera, dove migliaia di giovani scelgono di fare un’esperienza di impegno e di formazione sui terreni e i beni confiscati alle mafie, ora gestiti dalle cooperative sociali e dalle associazioni di volontariato. Segno di una volontà diffusa di essere “protagonisti” e di voler tradurre i valori in azioni concrete di responsabilità e di condivisione.

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«Abbiamo lavorato tanto per prepararci a questa giornata» ha dichiarato la Dirigente scolastica Assunta Barbieri, «l’iniziativa di Libera è per noi importantissima, perché la scuola è anche un presidio di legalità. Per Emilio D’Anna e per tutti parenti delle vittime della mafia noi ci saremo sempre. Le idee continueranno a camminare sulle gambe dei nostri giovani studenti e delle nuove generazioni. Oggi le mafie uccidono come e più di un tempo. Magari in maniera ancora più subdola e vigliacca; ad esempio avvelenando la terra, le falde acquifere, l’aria. Pensiamo a quanto avviene da anni nella Terra dei fuochi. Le mafie – continua la preside rivolgendosi ai ragazzi dell’auditorium – uccidono infiltrandosi nelle attività economiche, nelle istituzioni, nel tessuto sociale instillando il virus dell’illegalità, del sopruso, della prevaricazione. I ragazzi di oggi devono capire è venuto il tempo di ribellarsi contro ogni episodio di violenza. Il bullismo, ad esempio, è espressione di questo atteggiamento mafioso, bisogna sempre denunciare e ribellarsi. Mai girare la testa dall’altra parte: se vediamo un ragazzino che vandalizza un bene pubblico, dentro o fuori la scuola, dobbiamo dirlo. Il nostro compito è far capire che la maggior parte delle persone sono sane, oneste, quindi possiamo e dobbiamo avere la meglio sulla criminalità organizzata. Ci credo molto, i giovani sono sempre più consapevoli e coraggiosi. Basti pensare a quanto avvenuto qualche giorno fa in occasione del “Friday for future”, quando milioni di giovani sono scesi in strada per difendere il futuro del pianeta contri chi ci sta portando al collasso dell’equilibrio ambientale»

Oggi, dunque, tutti in corteo contro le mafie. Domani un altro segno non solo simbolico: intitolare cinque alberi della scuola di Lacco Ameno a cinque vittime della criminalità: Cocò Campolongo, il bambino di tre anni trovato carbonizzato a Cassano allo Jonio all’interno dell’auto del nonno Giuseppe Iannicelli, anche lui ucciso e dato alle fiamme; Federica Taglialatela, l’adolescente ischitana vittima nel 1984 della Strage di Natale sul Treno Rapido 904; la piccola Simonetta Lamberti, uccisa a 11 anni da un sicario della camorra nel corso di un attentato il cui obiettivo era il padre, il magistrato Alfonso Lamberti. Al termine dell’incontro è stato proiettato il documentario “21/08 – Impressioni dal dopo sisma”, realizzato per Libera dagli studenti dell’IPS “Vincenzo Telese” di Ischia con la supervisione del regista Giuseppe Iacono e di Claudio Cappelli

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