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Intervento del coordinatore regionale dei sovranisti Antonio Tisci

«La questione dell'ex tabacchificio di Palazzo San Gervasio è la linea del Piave»

«La vicenda dell’ex tabacchificio di Palazzo San Gervasio non riguarda soltanto Palazzo e non è soltanto una questione di ordine pubblico, è una questione regionale e racconta di noi e del nostro futuro più di quanto si possa immaginare». Ecco perché

«La questione dell'ex tabacchificio di Palazzo San Gervasio è la linea del Piave»

La vicenda dell’ex tabacchificio di Palazzo San Gervasio non riguarda soltanto Palazzo e non è soltanto una questione di ordine pubblico, è una questione regionale e racconta di noi e del nostro futuro più di quanto si possa immaginare.
Il tabacchificio fu costruito con la legge 910/66, il Comune cedette i terreni all’Ente di Riforma Fondiario che fu immaginato dalla politica nell’ottica di un progetto di valorizzazione del territorio e del lavoro quando la politica sapeva che era necessario immaginare un futuro occupazionale per il nostro territorio, quando si volevano creare le condizioni per evitare lo spopolamento e la disoccupazione, quando le risorse pubbliche venivano investite in una visione keyesiana delle stesse.
Le Regioni ancora non c’erano e il tabacchificio era un gioiello di produttività territoriale, chi lo ha vissuto racconta dell’esistenza di mense, di asilo nido e di una sala giochi per i bambini ma soprattutto di 300 lavoratrici che potevano restare nel proprio paese perché il lavoro era nel proprio paese.
Era l’epoca in cui la sinistra comunista, i democristiani ed i missini si preoccupavano dello sviluppo del territorio, di dare casa e lavoro ai disoccupati. Era l’epoca dei diritti sociali e delle grandi conquiste dei lavoratori e del lavoro.
L’ESAB prese in gestione il tabacchificio, poi fu consegnato alla Regione Basilicata nella legge di dismissione dell’ente ed è stato abbandonato. Bruciato furono spesi soldi per ricostruirlo. Consegnato ad una cooperativa che non poteva fare altro che ricoverarci i mezzi e che, comunque, realizzò opere nella struttura, fu tolto alla cooperativa per essere affidato momentaneamente alla Croce Rossa per l’emergenza immigrati stagionali.
Da struttura che serviva per impedire l’emigrazione dando lavoro a luogo di ricovero di immigrati. Una trasformazione che parla di noi più di quanto si possa immaginare. Parla della nostra Regione e della nostra terra, parla delle classi dirigenti che si sono trasformate in classi dominanti, abbandonando ogni visione di rappresentanza di interessi diffusi per essere portatori soltanto dell’autoconservazione e successione nel potere più che nel consenso.
Parla di noi e, quindi, il suo destino riflette l’immagine della Regione Basilicata. Da quanto apprendo sarebbe pronto un PON di quasi sei milioni di euro per realizzare una struttura definitiva di ricovero per gli immigrati. Sei milioni di soldi pubblici per trasformare una struttura produttiva che dava lavoro ai lucani in una struttura parassitaria che darà albergo agli immigrati che toglieranno ai lucani lavoro e sicurezza, in un contesto locale dove la pressione degli immigrati è veramente notevole.
Leggo che Pietro Simonetti, l’ex comunista che ha dimenticato la lezione marxiana sull’esercito industriale di riserva sarebbe il grande ideatore o comunque il mentore del progetto. Un vecchio comunista una volta mi insegnò che i comunisti italiani avevano un’idea di sviluppo, che favorirono l’industrializzazione perché pensavano sarebbe stato un limite all’emigrazione perché l’emigrazione arricchiva soltanto il capitale e impoveriva i lavoratori. Evidentemente qualcuno a sinistra ha dimenticato o non ha appreso quella lezione. Giorgio La Pira e Amintore Fanfani hanno dimostrato all’Italia che, partendo dal Codice dei Camaldoli, era possibile immaginare un intervento dello Stato per creare sviluppo e lavoro anche tramite i progetti di sviluppo.
Io voglio fare mia quella lezione che mi diede un vecchio militante comunista e che hanno dato all’Italia La Pira e Fanfani e dico che il tabacchificio di Palazzo San Gervasio costituisce l’immagine stessa delle Termopili dello sviluppo nella nostra regione, la linea del Piave che non si può superare se non ci si vuole rassegnare a disoccupazione, spopolamento e sostituzione etnica.
Una linea del Piave che deve essere difesa ad ogni costo. Ecco, perché, nella Regione Basilicata che nascerà dalle prossime elezioni regionali il futuro del tabacchificio di Palazzo San Gervasio deve essere centrale.
In una Regione in cui gli alberghi si sono trasformati in strutture di accoglienza, in cui negli edifici dove c’erano le scuole oggi sorgono le case per anziani, in cui dove c’erano terre coltivate sorgono immensi parchi eolici un indietreggiamento da questa linea sarebbe la fine definitiva di ogni idea di sviluppo.
Contro il partito regione e la sua classe dominante, deve ergersi una classe dirigente che sappia unire la lezione che mi diede quel vecchio militante comunista, la migliore tradizione democristiana di La Pira e Fanfani e l’interventismo di Beneduce e Mattei per immaginare un futuro di sviluppo per la nostra terra.
In questo progetto di sviluppo l’ex tabacchificio di Palazzo San Gervasio è la linea del Piave. Un piano industriale per quello che era il tabacchificio deve essere centrale, non perché risolverà tutti i problemi di occupazione della nostra terra ma perché è un simbolo. Significa tornare ad una politica che parli di lavoro e di lotta all’emigrazione e non di aiuto all’immigrazione e di indifferenza verso la disoccupazione e verso l’emigrazione.
Se noi oggi non capiamo che il futuro dell’ex tabacchificio riguarda tutti noi, dovremo rassegnarci a vedere ogni capannone industriale di questa regione trasformato in un ricovero di immigrati, ogni scuola trasformata in un centro anziani ed ogni ettaro di terra agricola trasformata in un parco eolico. Una regione morente, insomma, incapace di immaginare un futuro ma vittima delle manie di grandezza e di potere di ex comunisti ed ex democristiani, incapaci di immaginare il futuro, di essere classe dirigente ma intenzionati soltanto ad occupare il potere per lasciarci lentamente morire affogati nel loro ego.

* coordinatore regionale del Movimento nazionale per la Sovranità

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