Ostia, ma questa Roma alla deriva cerca solo un salvagente

Ostia, ma questa Roma alla deriva cerca solo un salvagente
di Mario Ajello
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Sabato 11 Novembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 17:51

Non è la Scampia di Gomorra. Non è la Corleone di Riina. Ostia è Ostia. E’ il simbolo non unico, molte zone del Mezzogiorno le somigliano, della politica che ha fallito, che si è trasformata in potere marcio, che ha finto di non capire, che ha cercato di non vedere, che s’è adagiata nelle convenienze e nelle connivenze. Relegando questa costola di Roma a teatro drammatico. Eccola Ostia, grumo di vergogna e paura. In cui la malavita si appropria della scena e s’infila nelle vite delle persone privandole del diritto di libertà, di serenità e di agibilità e questo lo può fare non perché mancano gli anticorpi nella cittadinanza, che è strapopolata di persone perbene, ma perché lo Stato non c’è stato (anche se ora cerca di correre ai ripari) e le istituzioni si sono eclissate nel nulla che viene sempre riempito dal peggio. 

Il problema sono dunque i 5 mila voti (9 per cento) di Casapound? Magari fosse così. Ostia e Nuova Ostia, con i suoi caseggiati popolari e lo sfascio dentro e fuori, ha paura degli Spada, come dei Triassi, come dei Fasciani, come di ogni altro clan che nei decenni ha imposto il suo controllo territoriale, perché maniglie sane, presidi di legalità, fonti di speranza sono mancate o non ce l’hanno fatta a combattere contro un sistema che vince violentemente per mancanza degli altri giocatori in campo. 

Ostia è sola e cerca disperatamente un salvagente. Mentre tutti se la contendono. Anche nella maniera tragicomica, tipica di certa politica, di dividersi tra piazze contrapposte ed evidentemente neppure gli Spada riescono ad unire le manifestazioni. Il 16 novembre l’iniziativa del Pd con la Fnsi e altri. Oggi la manifestazione della Raggi con la partecipazione “ideale” di Boldrini e Grasso più frammenti di sinistra sparsa e anti-dem. Ma senza insegne di partito da parte dei grillini. Anche perché i 5stelle, a cui era andato alle comunali della primavera 2016 tutto il voto di protesta degli ostiensi (il 44 per cento al primo turno e il 76 al secondo), non sembrano aver dato risposte ai bisogni dei cittadini (infatti M5S è scesa al 30,21 per cento) e pure gli altri partiti non sono considerati affidabili. Sennò, non ci sarebbe stata la fuga dalle urne domenica scorsa. 

LA FUGA
Soltanto il 36 per cento degli aventi diritto ha votato. E la massa del non voto significa ancora protesta dopo tanta protesta. Rappresenta la rivolta continua di chi non ha ricevuto ascolto. E il Pd che la prossima settimana va in piazza ad Ostia non è forse lo stesso Pd - con buona pace della propaganda di Orfini sul «siamo cambiati, ci siamo rinnovati» - che ha visto portare agli arresti il presidente dem del municipio, Tassone, e provocato il commissariamento? Se due cittadini su tre a Ostia non credono più né alla destra né alla sinistra né ai 5 stelle e neppure al prete - don Franco De Donno - che si è candidato al primo giro, sono forse qualunquisti? Ma figuriamoci. Sono invece cittadini abbandonati a se stessi, tipici esempi della «Solitudine del cittadino globale» uno dei libri non banali del compianto Bauman. Gente sfiduciata e stanca che - nell’indifferenza dei partiti, nell’assenza dei radar puntati su Ostia e delle telecamere che ora abbondano sul set da Suburra per rimarcare la bruttezza del tutto ma prima non si sono viste mai - rappresenta l’ombra della normalità vissuta tra mille travagli e pochi diritti. Non si sa più come reagire, visto che la protesta viene accolta quando porta voti ma dimenticata appena li si è incassati. E tutto rischia di ricominciare, come prima o peggio di prima. 

Il destino amaro di questa città-municipio è stato spesso quello di finire ai margini, o fuori, da tutte le grandi politiche che si sono pensate in questi anni per Roma. E Ostia ha sempre sofferto per questo esibito disinteresse. Non si è mai messo mano ai trasporti e alla viabilità. La Via del Mare è tra le più pericolose d’Italia. Per non di della ferrovia Roma-Lido. Nei pessimi anni ‘70, veniva definita «la carovana», come quelle assaltate dagli indiani nel far west. E dopo anni di miglioramento, il declino generale di tutti i trasporti romani l’ha declassata all’ennesimo sconcio. 

LA SPERANZA
Da una parte, i cittadini abbandonati dalla politica e sfiduciati nei confronti della politica, e dall’altra parte sempre loro costretti a convivere con gli interessi criminali. E quanto più le istituzioni abbassano la guardia, tanto più risalta la potenza anche mediatica di Ostia come icona del peggio. Dove tutto è brutto, sporco e cattivo. Il che non è una raffigurazione esatta della realtà. Ostia infatti non è mafiosa. È un posto dove c’è la mafia. E dove una popolazione numerosissima (quasi 250mila persone) non è piegata né connivente con la mafia e neppure omertosa. Perché fuggendo dalle urne, o votando disperatamente per gli uni o per gli altri, segnala il suo disgusto per i clan e per come i clan e la cattiva politica hanno ridotto una perla affacciata su un bel mare a una terra arida e desolata, somigliante per certi versi a quelle parti del Sud infestate dalle cosche che il voto clientelare nutre e accresce. Qui neanche al voto si crede più. E viene da rimpiangere quando Marco Pannella fu presidente di questo municipio, nel ‘92, e anche allora Ostia usciva da un commissariamento per gli stessi motivi attuali: racket, usura, abusivismo. Sono passati 25 anni, tutto è più o meno uguale, anzi è peggiorato, e i partiti dovrebbero farsi un esame di coscienza. Anche perché le parole del commissario prefettizio uscente, Vulpiani, rischiano di fotografare perfettamente la situazione: «Appena ce ne andiamo da Ostia, i clan torneranno padroni». Impedirlo, si può. L’importante è che la rassegnazione si trasformi in un nuovo inizio, e dia una scossa di pragmatismo e di civiltà a quel che resta dei partiti. 
 

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