Voto in Sicilia, il testa a testa M5S-Berlusconi

Voto in Sicilia, il testa a testa M5S-Berlusconi
di Diodato Pirone
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Giovedì 2 Novembre 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 22:42

A pochi giorni dal voto dalle regionali siciliane stanno emergendo con prepotenza tre elementi. Il primo: sul territorio si battono i leader di soli due schieramenti, quelli del centrodestra rappresentati da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini e quelli del Movimento 5Stelle guidati da Beppe Grillo e Luigi Di Maio. Il che la dice lunga su quali schieramenti - salvo sorprese democrat - possono vincere queste elezioni che, ricordiamolo, prevedono l’assegnazione della poltrona di presidente al candidato più votato che per governare (o iniziare a governare) non deve neanche chiedere la fiducia. La corsa per vincere, insomma, è a due. Anche perché lo schieramento di centrosinistra si presenta con due candidati e ha fatto lo stesso errore che commise nel 2012 il centrodestra che tutt’assieme raccolse uno stellare 44% dei consensi ma lo distribuì su due candidati regalando la presidenza al democrat Rosario Crocetta che arrivò primo con un modesto 30,5% dei voti.

Il secondo elemento è l’umore dell’elettorato registrato in queste ore. Un sondaggista raccontava l’altro giorno di non aver mai visto una campagna elettorale così moscia. «Tranne che a Palermo e Catania - diceva - C’è una scarsissima attenzione alle elezioni da parte dei siciliani che abitano nella Sicilia profonda».
Il che vuol dire una cosa: l’affluenza sarà bassa, forse bassissima. Già nel 2012, andarono a votare alle regionali il 47,4% dei siciliani cioè circa 2 milioni rispetto ai 4 che ne avevano diritto. Checché se ne dica, è evidente che già da tempo in Sicilia il fenomeno dell’elettorato cammellato, pilotato da clientele e greppie pubbliche, è ridotto al lumicino per la semplice ragione che i soldi pubblici a disposizione sono pochi. Sul piano elettorale in tutto il mondo la bassa affluenza significa che vince chi motiva di più il proprio elettorato. Di qui l’incertezza sull’esito della partita fra centrodestra e M5S che vede tuttavia lo schieramento berlusconian-salviniano partire da posizioni storicamente consistenti e talvolta trionfali, come il 57% delle regionali del 2008 o i 61 eletti, ovvero il 100% del totale, nei collegi uninominali del 1994. Insomma la Sicilia ha una consolidata base di elettorato conservatore ma questa coalizione deve trovare il modo di portarlo alle urne.

IL RIPOSIZIONAMENTO
In questo quadro sarà interessante osservare come si posizionerà l’elettorato di sinistra. La sinistra in Sicilia ha sempre contato poco. Persino il mitico Pci antimafia raramente riuscì a superare la quota del 20% durante il cinquantennio della Prima Repubblica. Nel 2012 il Pd, supportando Crocetta, prese il 13% cui è ragionevole sommare il 6,2% della lista del presidente. Crocetta vinse perché sfruttò la divisione del centrodestra e sull’onda del successo (quasi 11% dei voti) dei centristi dell’Udc con i quali si era alleato. Cinque anni fa, infine, le liste a sinistra del Pd presero il 6% dei voti (circa 100.000 in numero assoluto).
Questi dati ci portano al terzo elemento di riflessione. Il test siciliano avrà una valenza nazionale? Anticipando un po’ i tempi, sulla base delle peculiarità dell’elettorato siciliano e se davvero l’affluenza sarà modesta, la risposta è già abbozzabile: no.

Intanto alle elezioni politiche nazionali i votanti sono sempre molti di più che alle amministrative. Pochi mesi dopo le regionali siciliane del 2012 si svolsero le politiche per le quali deposero la scheda nell’urna quasi 2,7 milioni di siciliani, il 65% degli aventi diritto e il 30% in più, in numero assoluto, rispetto alle amministrative. Poi per le politiche 2018 si voterà con una legge elettorale con regole completamente diverse da quelle delle regionali. Nell’isola spunteranno 18 collegi uninominali per la Camera e 9 per il Senato e i candidati proposti dai partiti, se si tratterà di scelte felici o popolari, dovrebbero fare da traino alle liste. Cosa più difficile per il M5S che per gli altri schieramenti perché non sempre i pentastellati dispongono di nomi da spendere sul territorio in elezioni a turno unico, senza il ballottaggio. Un meccanismo, quest’ultimo, che al secondo turno facilita la convergenza sul simbolo a Cinque Stelle di parte degli elettorati avversari.
 

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