Gli esempi in Europa/ Senza governo dopo il voto, le illusioni all’italiana

di Marco Gervasoni
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Venerdì 5 Gennaio 2018, 00:09
Diceva il terzo presidente nella storia americana, Thomas Jefferson, che «il miglior governo è quello che governa meno». Gli faceva eco, quasi duecento anni dopo, Ronald Reagan: «il governo non è la soluzione, è il problema». 
Chissà cosa direbbero dell’Europa degli ultimi tempi. In cui sono sempre più frequenti, per via di elezioni senza vincitori, i casi di governi vacanti. Nel 2010, dopo un risultato elettorale incerto, il Belgio dovette attendere ben 540 giorni per dotarsi di un nuovo ministero. Sembrava una bizzarria, dovuta alla particolarità del piccolo Stato e alle sue divisioni etnico-linguistiche. 
Ma oggi la cosiddetta vacatio dei poteri sembra diventata la prassi: se in Olanda si è votato a marzo e solo ad ottobre è nato il governo, è il caso della Germania a colpire. Secondo molti, un eventuale nuovo esecutivo Merkel di grande coalizione potrebbe infatti nascere a Pasqua, cioè più di sei mesi dopo il voto. Per non dire della Spagna che, tra il 2015 e il 2016, durante i due turni elettorali nel giro di pochi mesi, ha visto il vecchio ministero Rajoy continuare a governare - quello attuale è comunque solo un esecutivo di minoranza. 
E’ uno dei frutti avvelenati del proporzionale, ma non solo. 

L’esempio lo fornisce l’Italia: la più lunga crisi di governo, 130 giorni, l’abbiamo provata nel 1972, con il proporzionale; ma poi, con il maggioritario, nel 2013 abbiamo comunque atteso 128 giorni prima di dotarci di un nuovo ministero. Naturalmente sappiamo tutti che nei mesi di crisi non si cade nello stato di anarchia: il governo resta in carica per sbrigare, si dice, «gli affari correnti». Ma poiché non è chiarissimo dove comincino e dove finiscano tali affari, di fatto l’esecutivo continua a governare nella pienezza dei suoi poteri. Anzi, direbbe qualche critico del parlamentarismo, senza più doversi necessariamente confrontare con le Camere diventa più decisionista. L’esempio lo fornirebbe la Germania: non solo il governo Merkel «vecchio» continua a prendere decisioni, soprattutto in politica estera, ma a marzo questo esecutivo discuterà, con il peso di cui continuerà a disporre, la riforma dell’eurozona. Ancora più paradossale il caso belga: nei 540 giorni di «non governo» si abbassò il debito pubblico e si impennò l’occupazione. Ma allora i vecchi Jefferson e Reagan avevano ragione? Nel caso italiano, no. E’ bene quindi rinsavisca chi intendesse, dopo il 4 marzo e sulla base di questi precedenti, prenderla comoda, dedicarsi all’arte del compromesso, amante dei tempi lunghi, ed esperire le mille alchimie degli accordi parlamentari. Non siamo più ai tempi della prima repubblica, quando il mondo era poco interconneso e scarsamente globalizzato, quando il debito pubblico era sì alto, ma meno dipendente dalla stabilità politica.

E poi gli investitori internazionali sapevano benissimo che, dopo la crisi, al governo avrebbe sempre comandato la Dc. Soprattutto oggi non siamo l’Olanda e il Belgio, cioè piccoli paesi, con i fondamentali solidi, agganciati alla Germania. E, naturalmente, non disponiamo né del bilancio né del peso politico di Berlino: che può forse permettersi sei mesi senza nuovo governo, di cui comunque pagherà le conseguenze, come le ha pagate la Spagna (vedi Catalogna). Partiti e i leader politici si tolgano perciò dalla mente di perdere tempo e, senza dirlo, comincino piuttosto a elaborare dei piani B. Perché ogni giorno senza esecutivo aumenterà il rischio di speculazioni sul debito e ci renderà passo dopo passo sempre più marginali in Europa. Gentiloni continuerà a governare, certo: ma dopo una campagna elettorale confusa, come saranno recepite le decisioni che il vecchio esecutivo dovrà prendere? Non fioccheranno le accuse di illegittimità? E in molti non sarà confermata la convinzione che votare sia, in fondo, inutile? Benché ci stiano simpatici Jefferson e Reagan, aveva forse più ragione lo storico francese Hyppolite Taine: «Per quanto possa essere cattivo un governo, c’è qualcosa di peggio. E’ l’assenza di governo».
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