Regeni, l’Egitto si impegna a fornire il video. Shoukry a Roma: «Deciderà procuratore»

Regeni, l’Egitto si impegna a fornire il video. Shoukry a Roma: «Deciderà procuratore»
di Elena Panarella
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Venerdì 1 Dicembre 2017, 20:03 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 20:04
Il governo egiziano ha assicurato di voler fare luce sull’omicidio di Giulio Regeni. Questa volta si è impegnato a fornire agli inquirenti italiani i video delle telecamere di sorveglianza nelle zone del Cairo che il ricercatore frequentava, prima di scomparire il 25 gennaio 2016. Il ministro degli Esteri Sameh Shoukry è arrivato ieri a Roma per partecipare alla conferenza internazionale Med Dialogues.

Con l’occasione, ha incontrato il collega italiano Angelino Alfano, ribadendo che l’Egitto ha l’interesse a sostenere la cooperazione giudiziaria tra i due paesi, perché questo caso non ostacoli le relazioni bilaterali. Di fatto, tuttavia, a quasi due anni dal brutale omicidio di Regeni, nessun  documento chiesto dagli inquirenti è mai arrivato dai colleghi del Cairo. A partire, soprattutto, dalle immagini delle telecamere nella metropolitana e nei negozi nella zona abitualmente frequentata dal ricercatore. Su questo punto, Shoukry ha spiegato che il suo governo eserciterà la sua moral suasion sulla procura egiziana, a cui comunque «spetta la decisione finale in quanto è un organo indipendente». Così, «non appena la società europea che abbiamo incaricato recupererà le immagini girate dalle telecamere nella metropolitana del Cairo, il nostro impegno sarà quello di fornirle agli inquirenti italiani», ha aggiunto il ministro egiziano. Puntualizzando che «per la prima volta un procuratore egiziano si è così aperto alla collaborazione, consentendo a rappresentanti stranieri di partecipare alle indagini e di avere accesso ai dati». E «noi come governo incoraggiamo il nostro procuratore a continuare questa cooperazione». Le immagini delle telecamere potrebbero imprimere una svolta alle indagini dei pm romani, fornendo indizi decisivi sulle ultime persone incontrate da Regeni e su i suoi ultimi movimenti. Per questo motivo, il governo italiano ha sempre insistito sulla necessità di rafforzare lo scambio di informazioni tra gli inquirenti dei due paesi. La richiesta si è fatta più pressante dopo il rientro al Cairo a settembre del nostro ambasciatore, Giampaolo Cantini, che nei numerosi incontri con le autorità locali ha sollecitato un «contributo fattivo» alla cooperazione giudiziaria. E nelle ultime settimane a insistito ancor di più durante gli incontri con i ministri del governo di Al Sisi. Lo stesso messaggio è stato portato dal sottosegretario agli Esteri Vincenzo Amendola, primo esponente del governo italiano a recarsi in Egitto, in ottobre, dopo l’inizio del caso Regeni, che ha scatenato la crisi diplomatica tra i due paesi: la collaborazione giudiziaria - ha detto Amendola ai suoi interlocutori - deve essere «continuata, regolare e progressiva».  

Durante il suo intervento al Forum Med Shoukry, lancia un appello forte: l’Egitto si aspetta che la comunità internazionale sostenga militarmente il Paese contro la minaccia terroristica, come ha fatto in Iraq e in Siria contro il sedicente Stato Islamico (Is). Ma sottolinea che «non c’è bisogno di un intervento militare diretto, ce la facciamo da soli», ma piuttosto del «know how tecnico avanzato» in ambito militare «a disposizione dei nostri partner». Ricordando l’attentato del 24 novembre contro una moschea sufi nel Sinai, costato la vita a 311 cittadini egiziani tra cui 27 bambini, il ministro ha sottolineato la necessità di «rafforzare la collaborazione con la comunità internazionale per aiutare l’Egitto perché si tratta di un pericolo collettivo che va affrontato con la forza necessaria». Gli eventi degli ultimi sette anni (dall’inizio delle Primavere arabe), un periodo in cui le istituzioni e i governi sono stati colpiti «hanno aumentato le minacce per questa regione, in particolare quella terroristica e quella dell’estremismo, che hanno fatto saltare la convivenza dell’area, che ha raggiunto il massimo della pericolosità». «Proprio perché affrontiamo questa situazione, dobbiamo fare un maggiore sforzo per modificare queste dinamiche, lavorare insieme per ripristinare l’equilibro strategico perso negli ultimi anni e la convivenza», ha aggiunto, sottolineando che la sconfitta dell’Isis in Siria ed Iraq ha causato la fuga dei combattenti e «la creazione di campi nell’Africa subsahariana, che ora minacciano l’Egitto e i paesi fratelli africani».
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