La sbandata del Pd/ Un errore abbandonare il rigore sui migranti

di Marco Gervasoni
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Lunedì 13 Novembre 2017, 00:24
Nessuno dubita della vocazione autolesionista del centro-sinistra. Non fino al punto però di suicidarsi, muovendosi in ordine sparso alle prossime elezioni. Pd, Mdp e il «mondo di mezzo» tra i due, quello di Giuliano Pisapia, cercheranno fino all’ultimo un’intesa, come si è augurato del resto proprio ieri l’ex sindaco di Milano alla convention del suo Campo progressista. 

Naturalmente, per addivenire a una pace, chi si muove alla sinistra del Pd chiede qualcosa in cambio. Una delle maggiori, se non la principale, materia di baratto rischia però di essere la politica dell’immigrazione, cioè l’abbandono della cosiddetta linea Minniti. Lo ha chiesto esplicitamente due giorni fa Emma Bonino, che del mondo a metà tra il Pd e Mdp è parte fondamentale. Le ha dato ragione ieri il presidente del Pd, Matteo Orfini, e ancor più Pisapia, che ha affermato di «condividere totalmente» le parole di Bonino. È infatti lei, l’esponente radicale ed ex ministro degli Esteri, dotata di pochi voti ma influente nei rapporti internazionali, a dettare la linea: consentire di nuovo la piena operatività alle Ong e soprattutto rompere «l’accordo inaccettabile» con i libici. Cioè mettere in discussione l’impostazione del ministro degli Interni, Marco Minniti, guarda caso nuovamente oggetto di attacchi ad personam non solo di alcuni intellettuali soi disant critici ma anche delle piazzette rosse (come l’altro ieri a Ostia). 

Ora anche i più tenaci avversari del governo devono riconoscere che la politica dell’immigrazione, per quanto non esente da limiti, è il dossier di cui Paolo Gentiloni può andare più fiero. La linea Minniti è infatti quella del buon senso e del realismo politico. Abbandonarla a fine legislatura, mentre gli sbarchi stanno riprendendo, non solo dalla Libia ma anche dalla Tunisia, sarebbe, più che un crimine, un errore - e grave. Al Pd, tentato da una forzatura sulla ius soli per suggellare la nuova alleanza (come chiesto ieri anche da Walter Veltroni) tutto ciò costerebbe non pochi punti percentuali. 

Sarebbe inoltre una scelta in controtendenza rispetto alle ultime posizioni dei partiti del Pse - o almeno di quelli desiderosi di sopravvivere - che infatti stanno rivedendo le loro promesse troppo generose («accogliamoli tutti»), pesantemente punite dagli elettori. Ma forse al Nazareno credono di compensare i consensi perduti con quelli che verranno grazie alla formazione di un cosiddetto «centro-sinistra largo». Contenti loro, delle sorti del Pd a noi interessa relativamente. Siamo molto più preoccupati per quelle del paese. Rimangiarsi la linea Minniti, quella del buon senso, provocherebbe molto probabilmente una ripresa degli sbarchi tanto repentina quanto rapida è stata la loro parziale interruzione; una ripresa che sarebbe mitigata solo dalle condizioni meteorologiche, in questa stagione ovviamente più avverse. Per di più, il dietro-front provocherebbe sconcerto presso i partner europei, soprattutto Francia, Germania e Austria, anche loro con un diavolo per capello - a Berlino le consultazioni per il nuovo governo arrancano anche perché i partiti non riescono ad accordarsi sul dossier migranti.

Sarebbe poi una iattura per la campagna elettorale: un centro-sinistra «con il cuore in mano» spingerebbe per forza d’inerzia il centro-destra ad irrigidirsi, trovandosi obbligato a promettere una mano pesante, che poi però non sarebbe in grado di mantenere nel caso andasse al governo. E aprirebbe un’autostrada per i 5 stelle. Sarebbe infine un disastro per il clima post-elettorale, caso mai nessun schieramento disponesse di una maggioranza: quale esecutivo, non diciamo di «larghe intese» ma almeno di responsabilità nazionale, sarebbe possibile, nel pieno degli sbarchi e dopo una campagna in cui gli uni hanno gridato «razzisti» agli altri? Far saltare simbolicamente la testa di uno dei ministri più popolari del governo (e del Pd), quella di Minniti, sembra a noi un harakiri. E sicuramente, come diceva Voltaire, «il suicidio non è sempre follia, ma non è certo in un accesso di ragione che ci si ammazza».
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