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Pedofilia clericale: Papa Francesco senza pace e il Cile senza vescovi

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Pedofilia clericale e Papa Francesco: è giunta l’ora delle dimissioni in massa di un intero episcopato nazionale. Il caso, fortunatamente senza precedenti, è quello dei vescovi del Cile.
L’argomento pedofilia non è nuovo, purtroppo. Tuttavia ciò che colpisce è l’apparente incapacità della Chiesa di uscire dalla logica dell’emergenza. E, francamente, un passo come quello compiuto da questa conferenza episcopale sudamericana a tutto fa pensare, fuorché a una normalizzazione delle cose. Ma andiamo con ordine e vediamo innanzitutto i punti chiave della vicenda.

Le violenze di don Karadima 

La chiesa cattolica cilena è travagliata da tempo dalle accuse di abusi sessuali su dei minorenni, rivolte a don Fernando Karadima. Lo scandalo si è poi allargato ai presuli che, negli anni, avrebbero coperto le malefatte del sacerdote. Questi è già stato condannato in via definitiva dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2011, a vivere ritirato in preghiera e penitenza.

Pedofilia e omertà

Essendo don Karadima già allora ultra-ottantenne, la Santa Sede non ha ritenuto di prendere ulteriori misure a suo carico. Restava, però, impregiudicato il profilo della responsabilità omissiva di alcuni vescovi nella gestione della sua vicenda. Don Karadima esercitava grande influenza sull’episcopato cileno, perché ne aveva formato una parte significativa e godeva di buoni appoggi in ambienti influenti della capitale.
Più in generale, a essere venuto in questione in Cile è stato, oltre allo scandalo della pedofilia, il clericalismo. Cioè, quell’attitudine del clero e dei vescovi a fare muro contro ritenute ingerenze laicali, più volte stigmatizzata da Papa Bergoglio.

La retromarcia del Papa

Quando il Pontefice si è recato in Cile, nel gennaio scorso, la contestazione che non lo ha risparmiato deve averlo colpito profondamente. Al punto che, dopo aver pubblicamente difeso monsignor Juan Barros, il vescovo di Osorno cui veniva imputato di aver insabbiato le accuse contro il suo mentore don Karadima, il Papa si è scusato. Francesco si è pentito di aver respinto le dimissioni offertegli da monsignor Barros e ha ripreso da capo la questione. Ravvedimento operoso, quello papale, in più tappe.

Pedofilia: le mosse di Bergoglio

Dapprima, il Papa ha inviato in missione monsignor Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e presidente del collegio per l’esame dei ricorsi presso l’ex Sant’Offizio. Assistito da padre Bertomeu, il prelato ha ascoltato tra New York e Santiago le tre vittime delle violenze di Karadima. Stiamo parlando del giornalista Juan Carlos Cruz, di James Hamilton e di Juan Andrés Murillo. Quindi, Francesco ha mandato una lettera all’episcopato cileno, in cui ammetteva di aver commesso gravi errori di valutazione, causa mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate.

Poi, ha ricevuto in Vaticano le tre vittime di pedofilia e ha chiesto loro sinceramente perdono, addirittura auto-denunciandosi come parte del problema. Infine, la soluzione: un meeting romano di 3 giorni e 4 incontri con i 34 vescovi cileni, al termine del quale si ribadivano pentimento e vergogna, in attesa delle decisioni. Fino alla rimessione collettiva del mandato da parte di tutti i pastori, perché sia il Papa a decidere quali rinunce accettare.

Chiesa cattolica: bacchettate e accuse

Bisogna ammettere che, nella ricetta, non manca nessuno degli ingredienti cui Chiesa, Papa e Curia romana stanno abituando quanti siedono alla loro mensa. Smentite, rettifiche, scuse. Cardinali che bacchettano pubblicamente il Papa, come il cappuccino O’Malley di Boston, che aveva fatto persino un comunicato stampa contro l’iniziale difesa papale di monsignor Barros, nel gennaio scorso. Altri porporati, come González Errazuriz, membro del consiglio che coadiuva il Papa per la riforma della Curia, accusati di aver sviato il Pontefice fornendogli informazioni non veritiere, né equilibrate.

La frontiera del reclutamento dei preti

Quanto alla rassegna corporativa del mandato da parte dei vescovi del Cile, non v’è chi non pensi che sia una mossa ambivalente. Può prestarsi, cioè, sia all’interpretazione di un rigorismo esasperato, sia a quella di un rinnovato scaricabarile sul Papato. Ma, dopo tutto, il Papato c’è per prendere decisioni: se fosse solo per riconoscergli un primato d’onore, nessuna confessione cristiana si schermirebbe.

I maggiori problemi per la Chiesa cattolica, però, secondo noi restano due. L’uno, formale e sostanziale insieme, è quello dei rapporti con la comunicazione di massa. Si conferma un nodo irrisolto, anche se i vescovi ringraziano gli organi di stampa. L’altro è relativo al reclutamento dei candidati al sacerdozio. Siamo proprio sicuri che se i vescovi cominciassero seriamente a rifiutare gli ordini sacri per motivi afferenti alle inclinazioni sessuali, non scoppierebbe un caso mondiale di discriminazione? A Papa Francesco, comunque, toccherà decidere.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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