Il vescovo Cavina: «Ho ricevuto minacce dopo il terremoto»

Carpi, sfogo del vescovo Cavina: «Ho pianto, credevo di non farcela. Poi mi sono fatto forza»

Il vescovo Francesco Cavina fotografato su uno dei ponteggi durante il cantiere di ricostruzione del Duomo

Il vescovo Francesco Cavina fotografato su uno dei ponteggi durante il cantiere di ricostruzione del Duomo

Modena, 23 novembre 2017 - Il terremoto di maggio 2012 è stato un «dramma» che gli è piombato addosso a pochi mesi dal suo insediamento nella diocesi. E nei mesi seguenti, nel periodo più difficile, «ho ricevuto del male da persone di Carpi, critiche pesantissime e minacce sulla mia persona».

Per la prima volta il vescovo Francesco Cavina racconta come ha vissuto umanamente i lunghi mesi che hanno seguito il terremoto. E ciò che ha detto, durante un incontro del Lions Club Host che si è svolto martedì sera nella scuola alberghiera Nazareno, è sorprendente. Pensieri ed emozioni che escono dal cuore e che solo ora, dopo cinque anni, si sente libero di raccontare.

Cavina non aveva ancora visitato tutte le chiese della diocesi quando le scosse del 20 e 29 maggio spaccarono la terra e danneggiarono gravemente tutti i luoghi di culto.

Nei paesi regnava il caos, 40mila persone erano sfollate e il vescovo si chiedeva se avrebbe avuto la forza e il coraggio per dare conforto e aiuto alla popolazione oltre a dover ricostruire le chiese.

Un momento drammatico in cui da alcuni fedeli è arrivata una ‘pugnalata’. «Anzichè chiedere se c’era bisogno di aiuto, ho ricevuto da queste persone critiche pesantissime e so benissimo chi sono». Ora, dopo cinque anni, «mi aspetto che vengano almeno a chiedere scusa per il male arrecato».

Della fatica di quel periodo ricorda pochissimo, la mente a volte rimuove ciò che è doloroso. «Ogni tanto mi arrivano dei ricordi, dei flash... ricordo la stanchezza, l’insonnia e il caldo. Non riuscivo a dormire per l’ansia, pensavo alla vita delle parrocchie, tutti mi chiedevano soluzioni immediate....».

Nella fede e nella preghiera ha trovato la forza per superare i momenti più difficili. «Dopo un mese dal terremoto non avevamo alcun luogo in cui pregare, così sono andato nella cappella delle suore – ha raccontato Cavina – loro non si sono accorte di me e mi hanno chiuso dentro, sono rimasto lì dalle tre del pomeriggio alle sette di sera. Ero stanco e solo e in quelle ore ho pianto davanti al Signore, credevo di non farcela, avevo anche pensato di andare dal Papa e dimettermi, chiedendo di mandare un vescovo più esperto».

Poi le risposte alle domande sono arrivate. «Il Signore mi ha dato una serenità profonda, ho capito che dovevo andare avanti senza farmi condizionare da pettegolezzi e malvagità» La fede e l’istinto l’hanno indirizzato verso un gruppo di collaboratori con cui ha lavorato notte e giorno per aiutare la popolazione e ricostruire le chiese. Una fatica che ha portato, dopo 1236 giorni di cantiere, alla riapertura della Cattedrale la scorsa primavera, «una grandissima gratificazione» coronata dalla visita di Papa Francesco e delle più alte cariche del Vaticano.