testimonianze dai confini

I doni spirituali e teologici della Riforma

di Nunzio Galantino

Martin Lutero (Agf)

4' di lettura

La fatica di sottrarre temi rilevanti a una deleteria semplificazione non è mai troppa. E soprattutto non sempre raggiunge buoni risultati. Può capitare infatti che, a considerazioni abbastanza evidenti per chi è abituato a leggere e a riflettere, si oppongano reazioni scomposte e accuse infondate.

Da tempo andavo meditando sull’impegnativa affermazione di S. Tommaso d’Aquino. “Omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est” (Summa Theologiae, I-II, q.109, a.1, ad 1: «Ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo»). C’è qui, da parte del grande dottore della Chiesa, l’invito a porsi di fronte agli eventi della storia intravedendovi l’azione dello Spirito. Non solo all’interno della Chiesa bensì anche in eventi a volte crudeli, spesso drammatici, che ne stimolano la purificazione e la riforma.

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In questo orizzonte di fede leggo anche la Riforma protestante, la cui alba ha fatto irruzione nella storia europea cinquecento anni or sono con la pubblicazione delle 95 tesi di Martin Lutero contro la compravendita delle indulgenze. Il monaco agostiniano eremitano le aveva allegate a una lettera, inviata all’arcivescovo di Magonza e all’ordinario della diocesi di Wittenberg, per denunciare i modi scandalosi in cui era condotta la vendita delle indulgenze. Peraltro egli riteneva che lo stesso Papa sarebbe stato d’accordo con lui nel riprovare questo mercato della grazia, se è vero che ebbe a scrivere: «Come il papa fulmina giustamente coloro che operano qualsiasi macchinazione contro la vendita delle indulgenze, molto più gravemente intende colpire coloro che, col pretesto delle indulgenze, operano macchinazioni a danno della santa carità e verità» (tesi 73-74) e ancora: «Il vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Vangelo della gloria e della grazia di Dio» (tesi 62). «Ma questo tesoro è giustamente il più odiato, perché “fa dei primi gli ultimi” (Mt 20,16)» (tesi 63).

È storicamente provato. Le vicende che hanno condotto alla scomunica e allo scisma sono il frutto di un groviglio di elementi (politico, economico, teologico, ecclesiastico) molto difficile da districare. Un aspetto di questa dolorosa vicenda non possiamo tralasciare: la rivoluzione luterana ha di fatto condotto al Concilio di Trento e alla riforma della chiesa cattolico-romana, di cui da tempo si sentiva il bisogno, ma che i precedenti concili (Lateranense V e Firenze) non erano riusciti ad attuare. In questa prospettiva papa Ratzinger poteva affermare che neppure la chiesa cattolica sarebbe la stessa senza Lutero.

Penso anche io che questo quinto centenario dell’inizio del protestantesimo non si possa considerare un “giubileo”, in quanto – come sostenuto dal teologo G. Lorizio in un recente convegno internazionale tenutosi alla Pontificia Università Lateranense e intitolato significativamente “Passione per Dio” – «si è trattato di un evento che possiamo rappresentarci con la metafora di una scissione nucleare, che ha liberato enormi energie in entrambi i campi, le quali sono state di volta in volta rivolte all’evangelizzazione, ma anche alla reciproca polemica conflittuale fra le confessioni cristiane e persino alle guerre di religione». Ma mentre in quel contesto, anche il pastore-teologo valdese Paolo Ricca ha fortemente deprecato la violenza perpetrata in nome dell’appartenenza confessionale, non si è tralasciato l’aspetto più profondo e teologicamente significativo dell’azione dello Spirito, che, sconvolgendo gli assetti politico-ecclesiastici dell’epoca, ha costretto le chiese tutte a ritornare alla stessa purezza del Vangelo, che anche il Concilio di Trento ha inteso far propria.

Ora speriamo che i tempi della violenza siano per sempre passati, sebbene siamo costretti a registrare atteggiamenti di violenza verbale e d’incomprensione da parte di chi non intende far propria quella conversione all’Evangelo che l’autentica spiritualità cristiana richiede. Si giunge purtroppo a manipolare espressioni e posizioni altrui, col semplice obiettivo di riaccendere polemiche, che la storia ci invita ad archiviare definitivamente. Non serve né una sorta di facile buonismo ecumenista e neppure una sorta di «apologetica della divisione» (G. Lorizio). Differenze restano nei linguaggi, nei modi di esprimere il rapporto col Vangelo della grazia, nelle strutture ecclesiastiche, nelle dottrine e nelle teologie, ma – come ha detto papa Francesco a Lund: «Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla distanza che la separazione ha prodotto tra noi. Abbiamo la possibilità di riparare a un momento cruciale della nostra storia, superando controversie e malintesi che spesso ci hanno impedito di comprenderci gli uni gli altri».

Chi alimenta la polemica decide di non cogliere questa opportunità e di fatto attua un’apologetica della divisione, che non può appartenere al cristiano e ancor meno al cattolico. La dichiarazione congiunta sottoscritta un anno fa, in occasione dell’inizio della commemorazione del 1517, non può essere ignorata né dimenticata: «Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa. Differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici. La nostra comune fede in Gesù Cristo e il nostro battesimo esigono da noi una conversione quotidiana, grazie alla quale ripudiamo i dissensi e i conflitti storici che ostacolano il ministero della riconciliazione. Mentre il passato non può essere cambiato, la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati». Se, infatti, attraverso la riforma, abbiamo ricevuto doni spirituali e teologici, essi non possono non provenire dallo Spirito che guida e protegge la chiesa di Cristo nel suo accidentato percorso storico.

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