strategie militari

Ecco i pericoli per la Nato nel confronto con Mosca in Europa

di Michael Peel e Michael Acton

(Ap)

8' di lettura

Quando gli ultimi Abrams americani hanno lasciato la Germania nel 2013, si è conclusa un'era durata sessantanove anni ed è stato chiaro che la Nato non prevedeva potenziali problemi alle frontiere europee. È passato qualche anno e i blindati americani sono tornati in Europa orientale non solo per dare una prova di forza a una Russia che ha rialzato la cresta, ma anche per capire in che misura i problemi logistici possono ostacolare la risposta della Nato a un'eventuale provocazione militare.

Lo scorso settembre, decine di blindati americani hanno raggiunto il porto di Danzica per unirsi all'urgente sforzo congiunto di misurarsi con i possibili ostacoli di un dispiegamento Nato in Europa. L'annessione russa della Crimea nel 2014 è in cima alle tante preoccupazioni sul fronte della sicurezza che, dopo la caduta del Muro di Berlino, hanno portato l'epoca dei “dividendi della pace” a una brusca fine. Il mese scorso, il generale Robert Neller, comandante del corpo dei marine americani, ha allertato le sue truppe di stanza in Norvegia che «sarebbe scoppiata una guerra». Il suo portavoce ha subito rettificato che il generale voleva solo sottolineare il bisogno di «farsi trovare pronti per qualsiasi tipo di conflitto».

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Solo una settimana fa, un alto funzionario russo ha accusato la Nato di costringere Mosca a una «corsa militare in Europa Centrale». «Da quando era caduto il Muro, nessuno si era mai immaginato che saremmo tornati in Europa Orientale», ha dichiarato il generale Ben Hodges, fino a poco tempo fa comandante dell'esercito americano in Europa. «Credevamo tutti che la Russia sarebbe stata nostra alleata. Tutti erano corsi a smantellare i propri eserciti.»
«Adesso» spiega un ex-funzionario Nato «l'Alleanza sta cercando di recuperare tutto quello che non si ricorda più come fare.» Ammette che il Patto – o quanto meno alcuni dei suoi membri – avrebbero dovuto essere più sensibili a segnali come il cyber-attacco generalizzato in Estonia nel 2007 e la guerra lampo fra Russia e Georgia nel 2008. «I segnali c'erano tutti. Non abbiamo voluto vederli» ha spiegato.

Altri all'interno della Nato dicono che l'organizzazione è stata troppo lenta nell'adattarsi ai grandi cambiamenti che si sono verificati nel contesto della sicurezza internazionale. Ma nel quartier generale Nato a Bruxelles come nelle capitali dei 29 membri dell'Alleanza si percepisce un bisogno urgente di stringere le operazioni in Europa. La Nato come l'Ue hanno lanciato iniziative articolate su più fronti per rispondere ai timori riguardanti la logistica, dallo snellimento degli intasamenti nei trasporti a una revisione delle procedure doganali che rallentano le operazioni.

La ristrutturazione militare in Europa apre un nuovo capitolo per testare la capacità di reinventarsi della Nato, quasi settant'anni dopo la sua istituzione. L'Alleanza sta cercando di dimostrare la sua capacità di proteggere una frontiera post-guerra fredda, che si estende dall'Artico al nord della Siria.
La Nato deve fare i conti con le capacità militari europee a corto di risorse, con gli impegni dell'Amministrazione Trump, con le intenzioni del presidente Putin. E l'Alleanza deve anche capire se la sua ridotta sicurezza territoriale è proporzionata o rischia di provocare il tipo di conflitto che dovrebbe prevenire.
«La Nato di certo non vuole una nuova guerra fredda, [ma] il mondo è cambiato e quindi anche la Nato deve cambiare», spiega Jens Stoltenberg, Segretario generale dell'Alleanza che è stato nominato neanche un anno prima della guerra di Crimea. «Per la prima volta nella nostra storia, dobbiamo gestire una crisi fuori dalle nostre frontiere e al contempo moltiplicare i nostri sforzi per una difesa collettiva in Europa.»

Da quando è salito in carica Trump, il processo si è intensificato. Il presidente americano ha lasciato di sasso i suoi alleati a maggio scorso, quando non ha ribadito il suo sostegno all'articolo 5 della Nato, secondo il quale i membri dell'Alleanza si impegnano nella reciproca difesa. In seguito, Trump e altre autorità americane hanno rilasciato dichiarazioni più rassicuranti, ma hanno anche esortato, in modo più diretto rispetto all'Amministrazione precedente, i membri europei a spendere di più per la difesa. E a novembre, Trump ha comunicato che le sue pressioni hanno dato i loro frutti: «Stanno arrivando miliardi di dollari. Credetemi, la Nato è molto contenta di Donald Trump e di ciò che ha fatto».

I Paesi europei che rappresentano la maggioranza schiacciante dei membri della Nato, hanno dimostrato di voler prendere più seriamente la sicurezza comune. Il mese scorso, venticinque Stati membri dell'Ue su ventotto, hanno aderito al programma Pesco (Permanent Structured Cooperation) per incrementare la cooperazione nel campo della difesa.
Un'iniziativa promossa dall'Olanda per migliorare la mobilità militare in Europa, individuando ostacoli come la burocrazia o le infrastrutture inadeguate, è stata approvata sotto l'egida del Pesco. Ed è in linea con un rapporto sullo stesso tema pubblicato a primavera dall'Agenzia della Difesa Europea dell'Ue. Il ministro degli Esteri olandese, Halbe Zijlstra, ha detto che la mobilità militare dovrebbe «permettere all'Ue di garantire meglio la nostra sicurezza».

Tutto questo fiorire di attività fa capire la portata del processo di rinnovamento intrapreso nel campo della difesa in Europa da quando è scoppiata la guerra di Crimea. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, la Nato ha spostato le sue operazioni verso conflitti internazionali come quello dell'Afghanistan e più di recente, della Libia. La presenza dell'esercito americano in Europa è scesa a un decimo rispetto al picco di circa 300mila uomini registrato nel dopoguerra, quando l'attenzione di Washington si è spostata su Afghanistan, Iraq e sull'ascesa della Cina.

Adesso la Nato ha predisposto quella che definisce una presenza di dissuasione aria-terra-mare nei suoi Stati membri orientali.
C'è una prima linea di difesa “tripwire” di circa 4500 truppe Nato nelle basi polacche e in Lettonia, Lituania ed Estonia. E dal 2015, una brigata corazzata americana di circa 3300 truppe è stata dispiegata in Europa, a rotazione.
La percentuale relativamente piccola di risorse Nato in Europa orientale porta inevitabilmente a chiedersi cosa accadrebbe se la Russia o un'altra potenza, decidessero di sfidare la forza Nato. Le truppe russe potrebbero raggiungere la periferia di Tallinn, la capitale dell'Estonia, nel giro di sessanta ore dall'inizio dell'attacco, secondo uno studio della Rand Corporation del 2016. La Nato dichiara che un contingente di rinforzo di 5000 truppe potrebbe essere stanziato in qualsiasi parte dell'Europa «in pochi giorni». Quest'anno toccherà all'Italia: Roma dista più di 2000 chilometri da Tallinn.

I problemi logistici pesano più delle distanze. In Europa centrale e orientale, dove molti Paesi facevano parte dell'Unione Sovietica o del Patto di Varsavia, le infrastrutture sono insufficienti o fatiscenti. I ponti, le gallerie, le strade, le ferrovie e i porti in Europa occidentale che sono stati costruiti negli ultimi venticinque anni non sono stati pensati per trasportare un grande numero di veicoli militari pesanti americani.

«In Europa non vengono più costruiti ponti con una capacità di 70 tonnellate in grado di sostenere il peso di un carro armato Abrams», spiega Douglas Lute, ex-Rappresentante Permanente americano alla Nato. La quantità e la varietà di possibili intoppi fa spavento: sei ore di ritardo per passare dalla Polonia in Lituania a causa di un cambio nello scartamento ferroviario. Gli ostacoli che i veicoli militari devono affrontare quando lasciano le tante stazioni ferroviarie polacche che hanno un binario solo (Varsavia sostiene che la maggior parte delle stazioni ne ha più di uno). I limiti di Bremerhaven, un porto tedesco sul Mare del Nord al quale si accede attraverso un'unica strada che permette il passaggio di soli 1500 veicoli al giorno in entrata e uscita. «L'investimento dell'Ue e della Nato per migliorare e ammodernare le infrastrutture finirà per essere una “decisione politica”», afferma Michael Linick, uno degli autori del rapporto Rand. «Più aggressiva sarà la loro posizione verso la Russia, più questo sarà necessario».

Secondo il generale Hodges, la European Reassurance Initiative – un fondo americano istituito dopo l'operazione della Crimea per un valore di 3,4 miliardi di dollari nel 2017, ha già finanziato interventi alle ferrovie, per poter scaricare più velocemente i carri armati. Fra le altre priorità ci sono i camion per trasportare gli equipaggiamenti pesanti e le strutture per lo stoccaggio dei rifornimenti. E aggiunge: «In queste priorità potremmo investire da subito».
Gli ostacoli amministrativi hanno reso la questione dello spiegamento ancora più difficile. I controlli alle frontiere potrebbero essere sospesi per permettere spostamenti più rapidi in caso di crisi. Ma senza un allarme rosso, i comandanti devono osservare le regole interne degli Stati come in Germania, dove i veicoli pesanti non possono circolare sulle strade in determinate ore. La Nato intende ridurre i tempi dei controlli alle frontiere a truppe ed equipaggiamenti da tre settimane (in alcuni Stati membri) a cinque giorni. Anche gli strateghi militari occidentali sono al lavoro per risolvere gli annosi problemi di incompatibilità negli equipaggiamenti, dalle radio agli ugelli del carburante.

E poi gli eserciti dei 28 membri europei sono un conglomerato disomogeneo di veicoli e armi. Secondo un rapporto di ottobre scorso dell'Assemblea parlamentare della Nato, che riunisce i legislatori dei diversi membri, l'Europa ha venti tipi diversi di aerei caccia, gli Usa sei; l'Europa ha ventinove tipi diversi di caccia torpedinieri e fregate, gli Usa quattro; l'Europa ha diciassette tipi diversi di carri armati, gli Usa ne hanno soltanto uno. «È chiaro che in Europa ci sono dispersioni evidenti», ha riconosciuto un diplomatico dell'Ue. «Ogni Paese ha la sua industria bellica e nessuno è disposto a rinunciarvi.

Un altro pericolo per la Nato è la riduzione dei fondi, per quanto i membri dell'Alleanza abbiano speso lo scorso anno circa 946 miliardi di dollari per la difesa. Nel 2016, solo quattro dei Paesi membri – Regno Unito, Polonia, Estonia e Grecia – hanno rispettato gli obiettivi di spesa militare previsti, pari al 2 per cento del Pil. E quest'anno dovrebbe farlo anche la Romania, e Lettonia e Lituania si sono impegnate in tal senso. I fondi Ue di 63,4 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, previsti per i progetti nelle regioni più povere dell'Unione, sono visti come una potenziale fonte di finanziamento infrastrutturale.

Secondo molti analisti, è improbabile un attacco diretto da parte della Russia a uno Stato membro, mentre la minaccia più grande è rappresentata da una guerra cibernetica o da una guerra ibrida, un misto di guerra convenzionale e cibernetica. Le autorità europee, però, insistono che Mosca si sta preparando militarmente: sono aumentati i movimenti degli aerei russi all'interno o vicino allo spazio aereo dello Stato baltico, e l'attività navale non è mai stata così intensa dai tempi della Guerra fredda. I sottomarini russi sono stati dispiegati nel Mar Nero, nel Mediterraneo orientale e vicino a cavi sottomarini cruciali per la comunicazione sottomarina transatlantica, secondo i funzionari Nato. Mosca vede questa nuova riorganizzazione della Nato, che comprende il dispiegamento dei sistemi di missili da difesa in Europa, come un'aggressione pensata per accerchiare la Russia. Il mese scorso Alexander Grushko, l'ambasciatore russo alla Nato ha condannato quello che ha definito il «codice genetico dell'Alleanza di cercare a Est il “grande nemico” dal quale difendersi.» A settembre, quando Mosca ha condotto la sua esercitazione militare sul confine occidentale, sono state mandate truppe, navi e aerei dei Paesi membri della Nato intorno ai territori baltici. È stata una piccola prova generale del grande spiegamento di mezzi che gli strateghi Nato e i Paesi membri dell'Ue hanno cominciato a predisporre.

Le nuove priorità della Nato sono in un certo senso la conseguenza a lungo ignorata della decisione di espandersi fino ai confini russi per inglobare i Paesi del vecchio blocco orientale fra i propri membri, dopo il 1999. Tale espansione ha determinato responsabilità e richieste onerose per i membri dell'Alleanza. Ora ci si chiede se un continente che è già alle prese con crescenti tensioni – dall'ascesa del populismo alla Brexit – è pronto per passare a un maggiore stato di allerta militare. «Nessuno si aspettava la guerra di Crimea, e invece si è verificata» ha ricordato un altro diplomatico europeo. «Guardate adesso: ci sono un milione di ostacoli che rallenterebbero un rapido movimento delle forze militari».

(Traduzione di Francesca Novajra)


(© The Financial Times Limited 2018. Tutti i diritti sono riservati)

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