religioni

Fra Roma e Gerusalemme dialogo sempre più intenso

di Bruno Forte

(Epa)

4' di lettura

La Giornata della memoria - celebrata il 27 gennaio di ogni anno per commemorare le vittime dell’Olocausto, in base a una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005 - richiama alla coscienza di tutti non solo l’immane tragedia della Shoah, affinché mai più un orrore del genere possa ripetersi, ma anche lo straordinario apporto che l’ebraismo ha dato e continua a dare alla famiglia umana. Quest’apporto è stato messo in risalto nella Dichiarazione Tra Gerusalemme e Roma, importante riflessione ortodossa ebraica sulle relazioni tra ebraismo e cristianesimo, elaborata nel contesto del cinquantesimo anniversario della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II.

Si tratta di un testo che ha cambiato in profondità l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le altre religioni del mondo e in particolare verso l’ebraismo (cf. n. 4). La Dichiarazione, adottata nel marzo 2016 dalla Conferenza dei rabbini europei e dal Comitato Esecutivo del Consiglio rabbinico d’America, è stata presentata a Papa Francesco il 31 agosto 2017 da una delegazione formata da tre delle principali istituzioni rabbiniche internazionali, la Conferenza dei Rabbini Europei, il Rabbinato centrale d’Israele, il Consiglio Rabbinico d’America. Con buone ragioni l’evento può essere definito storico: per la prima volta il Rabbinato ortodosso internazionale ha dato una valutazione unitaria del dialogo con la Chiesa cattolica, in riferimento non solo alla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, ma anche allo sviluppo delle relazioni con il mondo ebraico che il documento del Vaticano II ha avviato e favorito: “Nonostante le inconciliabili differenze teologiche - si legge nel testo -, noi ebrei consideriamo i cattolici come nostri partner, stretti alleati, amici, fratelli nella comune ricerca di un mondo migliore che sia benedetto dalla pace, dalla giustizia sociale e dalla sicurezza”. Nell’accogliere la delegazione dell’ebraismo mondiale, poi, Papa Francesco ha affermato con convinzione come, «essendo grande il patrimonio spirituale che abbiamo in comune», vada sempre più «promossa fra noi la mutua conoscenza e stima, soprattutto attraverso studi biblici e colloqui fraterni».

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In uno dei suoi punti chiave la Dichiarazione sottolinea il fatto che - pur attraverso innumerevoli prove - l’Eterno ha manifestato sempre la Sua fedeltà a Israele, nel tempo dell’esilio come nel susseguirsi di tante persecuzioni, fino all’ora più buia, quella definita da Giovanni Paolo II del «male assoluto», «quando sei milioni di nostri fratelli sono stati brutalmente assassinati e le braci delle loro ossa si sono spente nelle ombre dei crematori nazisti». Proprio allora, però, “il patto eterno di Dio si è manifestato ancora una volta: il resto di Israele ha raccolto le sue forze e ha prodotto un risveglio miracoloso della coscienza ebraica. Comunità sono state ristabilite in tutta la diaspora, e molti ebrei hanno risposto al vibrante appello di tornare in Eretz Yisrael, dove è sorto uno Stato ebraico sovrano”. In questo contesto di rinascita, più evidenti sono emersi i due obblighi del popolo ebraico verso l’umanità intera: “essere luce per le nazioni” (Isaia 49,6) e “assicurare il proprio futuro, nonostante l’odio e la violenza del mondo”. A riprova di questo duplice compito, la Dichiarazione ricorda come “la nazione ebraica abbia lasciato in eredità all’umanità molte benedizioni, sia nel campo delle scienze, della cultura, della filosofia, della letteratura, della tecnologia e del commercio, così come nel campo della fede, della spiritualità, dell’etica e della moralità”, riconoscendo in tutto questo una “manifestazione del patto eterno di Dio con il popolo ebraico”. Con fine consapevolezza degli sviluppi della teologia cattolica nei decenni seguiti al Vaticano II, la Dichiarazione richiama poi quello che per i credenti in Cristo è il fondamento dell’unicità irrinunciabile del popolo ebraico nella storia della salvezza: “Basandosi sulle Scritture cristiane, Nostra Aetate ha affermato che l’elezione divina di Israele, che essa definisce il dono di Dio, non sarà revocata: Dio... non si pente dei doni elargiti o delle chiamate che ha fatto”. Viene quindi citato un testo di Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Dio continua a operare tra la gente dell’Antico Patto per portare avanti i tesori della sapienza che gli derivano dal loro incontro con la sua parola” (247. 249).

Da qui consegue che il legame che la Chiesa riconosce di avere con Israele è unico, così forte, che il documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione Nostra Aetate (10 dicembre 2015) col titolo Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!, non esita ad affermare: “Il dialogo con l’ebraismo occupa per i cristiani un posto unico: il cristianesimo, date le sue radici, è unito all’ebraismo più di quanto non lo sia a qualsiasi altra religione” (n. 20). Perciò, “la Chiesa cattolica non conduce né supporta alcuna iniziativa specifica di missione istituzionale rivolta agli ebrei”, nei confronti dei quali ciò che invece è possibile e doveroso cercare è un cammino comune verso la piena riconciliazione, riconoscendo che questa apparterrà al tempo che il Dio della promessa riserva per tutti noi. L’idea di “riconciliazione in cammino” supera definitivamente ogni ipotesi di sostituzione, secondo cui la Chiesa avrebbe preso il posto d’Israele nel piano divino della salvezza: è lo stesso Paolo che mette in guardia dal vanificare quello che egli chiama il “mistero” (Romani 11,25), in base al quale Israele resta il testimone dell’elezione e delle promesse di Dio e costituisce per la Chiesa con la sua fede la “radice santa” (cf. 11,16 e 18), su cui essa è innestata e dalla quale non le sarà mai lecito prescindere. L’auspicio finale della Dichiarazione evoca la voce dei profeti biblici, ma non meno il discorso della montagna di Gesù: “Cerchiamo di trovare modi che ci permettano, insieme, di migliorare il mondo: per camminare sulle vie di Dio, nutrire gli affamati e vestire gli ignudi, dare gioia a vedove e orfani, rifugio ai perseguitati e agli oppressi, e quindi meritare le Sue benedizioni”. L’obbedienza all’Eterno e l’amore a tutte le Sue creature sono insomma la ragione ultima per cui il dialogo fra Gerusalemme e Roma dovrà sempre più svilupparsi, aperto alle sorprese dell’Eterno e nutrito dal desiderio sincero dell’obbedienza fedele di ebrei e cristiani alla Sua volontà.

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