la tenuta dei conti

Manovra, serve prudenza al timone per evitare il naufragio dello spread

di Donato Masciandaro

Palazzo Chigi (Imagoeconomica)

4' di lettura

Nelle prossime settimane il governo italiano dovrà disegnare la rotta della sua politica economica. Il lavoro di scrittura della legge di bilancio ha avuto un primo passaggio importante ieri con il vertice di Palazzo Chigi.

In questo percorso una bussola preziosa per evitare secche e rocce potrà essere l’andamento dello spread, che non è un semplice termometro. Per una nave come l’Italia, che è affetta da due problemi strutturali quali la bassa produttività e l’alto debito pubblico, è dagli anni novanta che lo spread è diventato non solo un indicatore del rischio di naufragio, ma anche della qualità dei timonieri.

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Nelle prossime settimane il governo dovrà definire la cosiddetta manovra autunnale. In parallelo e giorno dopo giorno i mercati finanziari esprimeranno un giudizio sull’affidabilità del debitore Italia attraverso l’andamento dell’oramai famoso – o famigerato, a seconda dei gusti – spread, vale a dire la differenza tra il livello dei tassi di interesse che lo Stato italiano paga sui suoi titoli e quello che pagano gli Stati che sono ritenuti dei debitori a massima affidabilità, come quello tedesco o quello americano.

Sul significato da dare all’andamento e alle determinanti dello spread sono ormai anni che i falchi e le colombe si dividono. Allora è meglio far parlare i fatti rilevanti.

Il primo fatto è che l’Italia è l’unico tra i Paesi avanzati che sia contraddistinto tra tre caratteristiche strutturali, presenti cioè dagli inizi degli anni novanta ad oggi: bassa capacità di crescita economica, riassunta da una produttività anemica; alto livello del debito pubblico, che indica una incapacità di gestire in modo efficiente ed efficace le spese e le entrate; una alta presenza di creditori esteri, circa un terzo del totale. Le tre caratteristiche implicano che nessun governo italiano può trascurare quello che i mercati pensano circa la sua affidabilità.

Il secondo fatto è che all’andamento dello spread sono correlati dei costi per il Paese: l’innalzamento dello spread aumenta i costi dell’indebitamento - che grava su famiglie ed imprese, quanto meno su quelle che le tasse le pagano – e peggiora i conti delle banche e di nuovo delle imprese, come evidenziato dalle analisi del Sole 24Ore sui bilanci semestrali.

Il terzo fatto è che l’andamento dello spread non dipende solo dal comportamento dello Stato indebitato. L’affidabilità di un debitore è influenzata anche da fattori fuori dal suo controllo, che nel caso dei debiti pubblici possono dipendere dallo stato di incertezza geo politica globale. Nelle prossime settimane, scossoni potrebbero arrivare ad esempio da un peggioramento delle relazioni commerciali tra Stati Uniti, Cina ed Europa. Ma il fatto che lo spread possa non dipendere dai comportamenti di chi la nave la governa, implica che il timoniere debba essere ancor più prudente, visto che la probabilità di naufragio è più alta.

In questi ultimi decenni, la probabilità di naufragio che i mercati hanno assegnato alla nave italiana è stata proprio segnata dagli alti e bassi dello spread. Guardiamo ai dati mensili del differenziale di tasso tra i titoli decennali di Italia e Germania, dal 1991 al luglio 2018. Lo spread tocca il suo record storico di 691 punti nell’ottobre 1992 (governo Amato), per poi scendere fino a 254 punti nell’aprile 1994 (governo Ciampi). Poi risale fino a 630 punti nell’aprile 1995 (governo Dini), per poi scendere al suo livello minimo assoluto di 9 punti nel dicembre 1998 (governo D’Alema). In seguito lo spread risale fino ai 518 punti del novembre 2011 (governo Berlusconi), per poi scendere fino a 102 punti nel dicembre 2015 (governo Renzi). Nell’aprile 2018 lo spread era a 129 punti; nel luglio 2018 (governo Conte) siamo a 236 punti. Questo mentre ieri il valore ha toccato un massimo di 268 punti. Quindi ogni governo italiano – incluso l’attuale – deve tener ben in conto quale è la probabilità che i mercati assegnano all’evento di finire sulle rocce.

Non basta: lo spread può essere anche un indicatore del giudizio che i mercati danno della qualità del timoniere. In altri termini, l’analisi economica ha studiato la relazione tra credibilità del governo in carica e giudizio dei mercati sulla affidabilità del debitore sovrano. Riguardo l’Italia, uno studio pubblicato nella collana di ricerca della banca centrale europea (Bce) nell’aprile del 2015 ha analizzato econometricamente l’impatto degli annunci di politica fiscale – complessivamente 201 annunci - di tre governi italiani – Berlusconi, Monti e Letta – nel periodo 2009-2013. Il risultato è che solo gli annunzi fatti da esponenti del governo Monti sono stati ritenuti rilevanti dai mercati; inoltre la rilevanza non dipende dal tenore dell’annuncio, nel senso che i mercati hanno dato importanza sia alle notizie di possibili miglioramenti che di possibili deterioramenti dei conti pubblici.

Il che significa molto semplicemente che il governo Conte – ed i suoi singoli componenti – faranno bene a non perdere mai di vista lo spread, soprattutto quando decideranno di fare e/o di dire qualcosa.

Perché i mercati non solo segnalano ogni giorno quanto la nave Italia sia lontana o vicina agli scogli, ma possono anche segnalare se gli atti e le parole dei timonieri stanno riducendo – o aumentando – le probabilità di naufragio. A buon intenditor, con quello che segue.

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