analisila tragedia di genova

Stato e governo, una distanza da rimuovere

di Montesquieu

(Ansa)

3' di lettura

Il viadotto crolla, e spezza Genova in due tronconi: sembra la drammatica metafora del paese, mai così diviso in settant’anni di Repubblica, di democrazia. Con una differenza, a vantaggio dei genovesi, dovuto alla loro fortissima voglia di unità, all'attaccamento alle proprie radici, alla coscienza dell'ingiustizia subita, alla rivalsa contro l'ultima delle infinite avversita'del territorio ligure.

Un paragone, quello con la frattura del paese , che gli abitanti del capoluogo ligure non meritano: ma non lo merita peraltro il resto degli italiani, vittime di una politica che li vuole divisi, aizzati, artificialmente, gli uni contro gli altri , a dispetto dei loro reali sentimenti . Una politica che ha perso i motivi fisiologici, sani, fortificanti della divisione sui programmi, sulle idee, sulle ricette, sulle scelte di campo: ricordo di partiti formati sul principio costituzionale della associazione nella condivisione, secondo l’articolo 49 della nostra carta.

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I partiti di oggi , sigle senza significato, puntano sulla distruzione morale dell'avversario, da quasi trent’anni, rovesciando il rapporto di responsabilità e di guida del paese, il rapporto di delega tra elettori e rappresentanti. La caricatura della democrazia diretta, quella vera.

Così si presenta la nostra politica davanti allo strazio del viadotto penzolante, mentre le case sottostanti fanno il conto alla rovescia. Con una pietà da sbrigare come una fredda formalità: e poi sotto, a testa bassa, gli uni contro gli altri. Fino a dimenticare i capisaldi di un sistema democratico, basato sul diritto: le sentenze, e le relative sanzioni - sommarie le une e le altre - precedono gli accertamenti, anche i primi; il capo di governo, che giustifica a malapena il suo ruolo per l'essere un giurista di buona reputazione, rinnega i tempi che la giustizia, per essere giusta, pretende; un rancore selvaggio prende il posto della pietà, dell’umanità.

Qualcuno si stupisce che, messa davanti a questa cupa raffigurazione politica, l’angoscia disperata dei parenti si ribelli, nell'unico modo di cui dispone, rifiutando il meritato, sicuramente desiderato tributo dell'ossequio pubblico ai propri congiunti? E si rifugi nella certezza dell'abbraccio privato, familiare? Qualcuno pensa, nella cieca rincorsa al consenso, che il rifiuto dell'abbraccio salvi o escluda una parte della politica? Fino ad oggi, fino a questo preciso momento, pochi sono i motivi per credere ad una resipiscenza almeno accennata, incipiente. O nessuno.

Eppure, potrebbe non essere inutile, la tragedia del ponte crollato che ha spezzato il capoluogo ligure; e potrebbero non esserlo il sacrificio delle vittime, il dolore dei familiari. Perché succeda, ognuno dovrà metterci del suo, a partire da tutte le istituzioni. La condizione è che , di fronte all’evidente, diffuso collasso della fiducia nello Stato - rappresentato iconicamente dal rifiuto del funerale pubblico-, la politica tutta torni a sentirsi comunità, e si renda conto del gelido crepaccio che si è andato via via allargando tra sé e i cittadini. La politica , le istituzioni si salvano tutte assieme, o si condannano in blocco. Il gioco ingenuo dei buoni e dei cattivi può funzionare da raccoglitore di consensi per lo spazio di una campagna elettorale , anche se interminabile; poi viene il dovere di governare. Difficile per “quelli di prima”; altrettanto e più difficile per quelli di oggi, come è già maledettamente, platealmente evidente. Il rigetto sprezzante degli avversari non fa la felicità degli elettori.

In questo quadro , un ruolo fondamentale spetta al capo dello Stato, fino ad oggi visto con supponente diffidenza dal populismo di governo, il vero collante della nuova maggioranza. Dopo avere cercato di farne a meno, avere addirittura progettato di liberarsene con un odioso, cinico gioco di palazzo, il capo del governo e soprattutto i due capi della coalizione dovrebbero trovare rassicurante la presenza del capo dello Stato alla cerimonia funebre. Sono ancora fresche le immagini della loro presenza incombente e lacerante, il tentativo profano di soffiare altra ansia sul dolore, l'estremo tentativo di dividere il paese. Il doloroso rifiuto dell’omaggio pubblico da parte dei parenti delle vittime congiunge in una presa di distanza collettiva, generale, gelida, le classi di governo di ieri e di oggi, l' insufficienza verificata di “quelli di prima” e quella che già si profila, imbarazzante, di “quelli di oggi”.

A rappresentare l’Italia, alla cerimonia funebre, non saranno rancorosi uomini di governo e di parte ad un tempo; ma una figura di garanzia formale , e fortunatamente reale, che si pone al di sopra di tutte le divisioni, quelle fisiologiche, ma soprattutto quelle pretestuose, strumentali . Per ricostituire un momento di unità, da cui ripartire. Qualcuno, dentro i partiti, di governo e di opposizione, sarà all’altezza di questa sfida?

montesquieu.tn@gmail. com

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