saggi

Nazionalismi e jihad, esistenzialismo e moda. Tutto si compie nel 1947: il nostro inizio

di Serena Uccello

4' di lettura

Nazionalismi, fascismi, jihad, terrorismo, globalizzazione ed antiglobalizzazione. L'elenco potrebbe continuare. Sono questo alcune delle parole che narrano la nostra contemporaneità. La mappa dei fenomeni, mai come oggi, è fluida, veloce, articolata e a tratti contraddittoria. Ora un saggio, pubblicato per la prima volta in Svezia, prova ad allargare la trama, per tornare indietro fino all’origine. La domanda è: dove le sono le radici di questo nostro tempo? La risposta è nel titolo del testo, scritto dalla giornalista e scrittrice Elisabeth Åsbrink e uscito in Italia per Iperborea (pp.320, 18 euro). La risposta è un anno: il 1947. «Non c’è una data precisa, un momento esatto in cui l'attenzione passa dalla gestione del passato a quella del futuro. C'è solo questo anno, il 1947, in cui tutto si muove in modo vibrante, senza stabilita e senza meta, perché ogni possibilità è ancora aperta», scrive Åsbrink.

Questo è l’anno in cui l’Europa osserva posarsi la polvere dei palazzi disfatti dalle bombe e, nel silenzio di un nuovo cielo non più attraversato dai bimotori, conta quel che resta. È l’anno in cui inizia la guerra fredda, è l’anno in cui «il mondo costruisce se stesso sul substrato cedevole della dimenticanza». Il mondo per accettare, deve dimenticare e dimenticare vuol dire dimenticare l'Olocausto. E qui Åsbrink spiega perfettamente cosa accade alla coscienza e alla legge e perché la memoria di quei crimini sarà lungamente rimossa, tanto da essere solo negli ultimi anni affrontata, chiarita, investigata. «I crimini vanno puniti. Le ferite rimarginate. Gli avvenimenti che per adesso sono semplicemente custoditi nella memoria di singoli individui vanno promossi al rango di azioni punibili per legge e sottoposti al giudizio di un tribunale».

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Åsbrink ha chiaro l’obiettivo della ricostruzione e della ricomposizione e per centrarlo sceglie un meccanismo narrativo difficile ma in questo caso perfettamente riuscito, tanto da rendere questo testo del tutto fuori dagli schemi, originale ed appassionante. L’approfondita documentazione del saggio assume lo sguardo della narrazione, la precisione del reportage, il ritmo del memoir. Dietro infatti l’investigazione collettiva c’è quella personale. Åsbrink cerca la sua famiglia e le sue origini. Tra le migliaia di profughi ebrei che si muovono in Europa cercando una nuova casa e una nuova vita, c'è anche suo padre: un orfano ungherese di dieci anni che proprio in questo anno compie la scelta che deciderà il suo futuro.

Mese dopo mese da New York a Parigi, da Malmo a Gerusalemme, una serie di micro episodi e di fatti apparentemente isolati compongono il quadro che segna il punto di inizio. Åsbrink cerca, scava, per arrivare a quegli attimi in cui ciò che è stato avremmo potuto prendere un altro caso. Fa vivere gli snodi della storia attraversa la vita degli individui che era al timone di quegli snodi. Mette a fuoco il momento esatto in cui ciò che si è compiuto ha preso quella forma e non un’altra. Mentre in mano per voltarli e rivoltarli quei nodi che, non ancora sciolto, condizionano ancora oggi la nostra esistenza.

«Martedì 18 febbraio la Gran Bretagna declina ogni responsabilità sulla Palestina. Giovedì 20 il primo ministro Clement Attlee comunica che il suo paese intende concedere l'indipendenza all'India. Venerdì 21 gli americani vengono informati che la Gran Bretagna non fornirà più sostegno economico e militare a Grecia e Turchia come in precedenza. L'impero di spacca. Coloro che avevano detenuto l'egemonia mondiale ci rinunciano, coloro che avevano esercitato il dominio sugli oceani, sulle vie commerciali, sulla politica dell'equilibrio, che avevano diffuso la propria lingua, i propri sport, le proprie armi, il proprio sistema scolastico, la propria sterlina e i propri soldati, tagliano ora i legami e si ripiegano su se stessi. Una settimana incomprensibile».

Intanto Simone de Beauvoir vola da Parigi a Chicago e lì si innamora di Nelson Algren. E mentre uno stanco e disilluso George Orwell si rifugia sull’isola di Jura dove scrive il profetico 1984 a New York esplode la stella di Billie Holiday.
E nell’anno in cui viene istituita la Cia e Kalašnikov inventa l’arma oggi più diffusa al mondo, a Washington c’è un giurista polacco che ha perso la famiglia nei Lager che non si dà pace. Si danna. Prende corpo «quello che finirà per segnare il resto della sua vita: l'ossessione di fare del genocidio un crimine riconosciuto a livello internazionale». Viene infatti redatta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, prima sconosciuti all’umanità e viene così coniato il termine, prima sconosciuto di “genocidio”.

Tra Berlino e Malmo una rete clandestina di organizzazioni internazionali mette in salvo i gerarchi del Reich, in massima parte in Argentina, e si struttura per rilanciare gli ideali fascisti. L’Onu riconosce lo Stato di Israele e Al Cairo il figlio di un orologiaio lancia il mo­derno jihad. «Il numero sempre maggiore di ebrei emigrati in Palestina, però, spinge, il figlio dell'orologiaio a volgere lo sguardi fuori dai confine dell'Egitto oppresso. Hasan al-Banna sostiene chegli ebrei odiano l'islam e che ogni musulmano a prescindere dall'età e dal sesso deve mettere fine alla cospirazioni e all'odio ebraici. Si introduce l'uso del jihad. Il fine è spezzare il giogo, dovunque esso si manifesti, e liberare gli oppressi dai loro oppressori».

A Parigi Christian Dior osserva le donne mortificati da lane urticanti e pessimi tessuti, da colori di fango e sogna di rivestirle di fiori, di luce di vita: crea il su New Look. A Torino Primo Levi insegue la pubblicazione di Se questo è un uomo. Gli uomini e le donne della storia diventano voci di una coralità che traccia una consapevolezza in modo fluido e chiaro. La specificità e il pregio del lavoro Elisabeth Åsbrink stanno nella costruzione di queste pagine, nella lucidità in cui l’autrice è riuscita a muoversi in una magma sterminato di documenti, articoli, testimonianze, a trovare sempre il cuore di quel momento, a definirlo. La prosa di Åsbrink è sintetica ma emozionante. Pulita ma capace di rivestire di pathos i fatti, sempre in un modo equilibrio.

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