La domenica del sole 24 ore

Crociere, quando il viaggio in America era una questione di stile

di Stefano Salis

4' di lettura

Non sono mai stato su un transatlantico, dico di quelli di una volta, con le ciminiere fumanti, sorta di città naviganti dalle cabine lussuose, i dettagli rifiniti al massimo (per chi se le poteva permettere), quelli in cui il periodo della navigazione, lento e inesorabile, nell'incedere verso l'agognata America – sempre che non ci si mettesse di mezzo un iceberg – era l'occasione di una socialità borghese anche quella d'altri tempi, basata su cocktail, seduzioni sottili, sguardi, cene eleganti (davvero), conversazioni brillanti se possibile.

Siamo, del resto, tutti fuori tempo massimo e le crociere di oggi (pur con tutto il fascino e il lusso che possono avere) non sono comunque la stessa cosa. Li abbiamo visti in mille film (ricordate l'“apparizione”, letteralmente, del «Rex» in «Amarcord», commovente ed emozionate: «Com'è? Com'è? continua a chiedere il cieco che suona la fisarmonica?), e documentazioni di tutti i tipi: nulla ci appare, tuttora, così fascinoso e degno di spirito d'avventura, e al tempo stesso, esclusivo e raffinato, come una crociera di quei tempi.È anche la “mitologia” che queste grandi navi portavano con sé: il viaggio era la ragione stessa della vacanza, non solo e non tanto l'arrivo, che forse era un dettaglio, dopo tutto.

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L'esperienza del viaggio era perciò il tempo lento trascorso a bordo, in un'enorme balena di ferro dove convivevano tutte le gradazioni che la società riproponeva sulla terra ferma. Dai fuochisti laggiù in basso, sotto la linea di galleggiamento, ad alimentare il “mostro” e farlo filare, fino alle classi alte e altissime del ponte di diritta: tra flute di champagne e abiti di gala. E ancora una mitologia che era al tempo stesso senso del progresso (le navi erano il fiore all'occhiello di un'industria cantieristica e meccanica che sfruttava tutte le possibili tecnologie) ed esotismo puro e semplice.

Le navi e le compagnie facevano a gara ad essere efficienti e sfarzose, e le due cose non potevano che essere congiunte. E perciò dovevano anche affascinare e catturare l'attenzione del pubblico: di qui le pubblicità fantasmagoriche, soprattutto fatte di grafica di alto livello ma comprensibile a tutti, poster e gadget che dovevano invogliare a fare, almeno una volta nella vita, il viaggio che passava l'Oceano. È una storia anche di gare di velocità (il Nastro Azzurro, che il «Rex» vinse nel 1933) e di naufragi, di guerre e di tristezze, di effervescenze, di divi, di poveri diavoli, di industrie, di design, di arredamento e di comfort.

La fantastica esposizione al Victoria & Albert Museum di Londra (fino al 17 giugno, con un degno catalogo edito dallo stesso museo) «Ocean Liners, Speed and Style» è un viaggio insieme ai grandi vascelli che hanno segnato quell'epoca (conclusa all'indomani della Seconda guerra mondiale), dal «Titanic», al «Normandie» dalla «Queen Mary» al «Rex» o al «Conte di Savoia» delle Flotte riunite Italia di Genova, e su come queste navi e queste esperienze hanno cambiato il nostro mondo (il nostro, dico, quello di oggi). Una mostra che, per forza di cose, include una quantità di prospettive, e lo fa con precisione e meraviglia autentica. La parte tecnologica, sempre avveniristica, lo architettonico delle navi, la modernità che vi si incunea prepotente (e c'è un capitolo a parte, catalogo e mostra per Gio Ponti), la moda e lo spettacolo a bordo (la folle corsa del piano e del pianista nell'Oceano, mentre la nave affonda, nel film di baricchiana memora), l'idealizzazione sociologica della vita a bordo, i risvolti sull'arte modernista, spesso influenzata dalla forma delle navi, un esempio: le foto di Le Corbusier dei ponti del «Conte Biancamano» (nave che esibiva opere, arredi, oggetti, design, arazzi di gente come Edina Altara, Massimo Campigli, Lucio Fontana, Piero Fornasetti e così via...).

E si tratta, anche, di un percorso con le persone che quei viaggi ebbero la fortuna di farli: divi del cinema, dandy e ricconi sfacciati, attori, scrittori, bella gente, spesso anche utilizzata dalle compagnie per una pubblicità ben programmata; senza contare che se ti capitava di avere a bordo una coppia come i duchi di Windsor il glamour era più che assicurato. Centinaia di oggetti, eliche, motori, posate, divise, tiare e vestiti, poltrone e letti, pannelli e posacenere, una piscina e uno scalone ricostruito, memorabilia dalle navi più diverse: una spettacolare parete che proietta a tutto campo un mare mentre tu ti puoi affacciare da una ringhiera finta, eppure filologicamente ineccepible....

Nel 1980 il Cooper Hewitt di New York tenne la prima grande mostra sulle crociere transatlantiche (la «Queen Elizabeth 2» era ancora in servizio, sebbene alle ultime corse) e una recensione scriveva, giustamente, che «nessuna mostra può davvero rendere giustizia al soggetto, solo una crociera di quel tipo può farlo». È ancora vero: eppure, per quell'ora di visita in queste sale perfettamente allestite del V&A si sta come in crociera, in quel mondo, in quelle atmosfere, in quel sogno, si fa un viaggio e un'esperienza come se: con il vantaggio che non si soffre il mal di mare e con lo svantaggio che dura troppo poco. E all'ultimo suono basso di sirena, quando esci, non ci sono i grattacieli della Grande Mela, ma il bookshop della mostra. Epperò, avercene di esperienze così. Tutti a bordo, per un nuovo giro!

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