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La nemica oltre la siepe

di Lara Ricci

2' di lettura

Marion, la bianca, ha speso buona parte delle sue energie per tenere in riga la sua vita, per rispondere alle sempre più insidiose domande dei suoi figli mentre il Sudafrica si contorceva per espellere l’apartheid. Hortensia, la nera, si è consumata invece detestando sé stessa e gli altri, a partire da suo marito e dall’amante di lui.

E con ciò che restava della loro forza e con tutta la rabbia che producevano, entrambe hanno fatto un’ottima carriera, come architetta la prima e come designer di tessuti la seconda. Ottantenni agli antipodi, ma vicine di casa in un ricco sobborgo di Città del Capo da vent’anni, dal 1994 quando Mandela diventò presidente, le caustiche vecchiette si scontrano ogni volta che possono. Per esempio nelle riunioni del comitato di quartiere, luogo di elezione, dove cercano di ammazzare il tempo e darsi delle arie infliggendosi perfide umiliazioni e vivificanti battute al vetriolo, in attesa della sospirata morte. Ma una serie di imprevisti le costringe a una vicinanza forzata che le obbligherà infine a fare i conti con le certezze su cui avevano edificato la loro esistenza e con tutto quello che non avevano voluto vedere.

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In La signora della porta accanto - allegoria del Sudafrica post apartheid della quasi quarantenne scrittrice Yewande Omotoso, madre di Barbados, padre nigeriano, l’infanzia a Ife prima di arrivare nel Capo Occidentale nel 1992 e restarci - l’autrice si interroga sulla grande violenza della segregazione razziale a partire dalla piccola violenza, quella domestica, quella cui ci si abitua dalla nascita e nessuno mette più in discussione, quella, anche, che le persone si autoinfliggono e su come questa trasformi gli uomini. Se la parte più penetrante dell’analisi di Omotoso è nella descrizione degli effetti più che nella ricerca delle cause, e la forza della sua scrittura è nell’ironia e nella lucidità spietata di certe battute, l’aspetto che indaga con maggiore originalità non è tanto il razzismo quanto la (fallita) emancipazione femminile. Nel momento più toccante del racconto le due duellanti, in un buio corridoio, confessano vicendevolmente l’inaspettata eredità dei loro defunti mariti scoprendosi infine unite da un’ingiustizia più universale, che non ha confini geografici né cromatici: quella contro le donne. Vittime di una cultura, di un modo di pensare la donna, l’amore e la famiglia che - nonostante la loro grinta - le ha intrappolate in una vita che hanno subìto e le ha costrette a sopportare gli affronti peggiori, quelli di cui per troppi anni non si è consapevoli.

Yewande Omotoso, autrice di «La signora della porta accanto» (trad. di Natalia Stabilini, 66thand2nd, Roma, pagg. 255, € 16, in libreria dal 10 maggio) sarà oggi alle 11 alla Feltrinelli di Padova, domani alle 19 alla Confraternita dell'uva di Bologna, giovedì prossimo a Torino, alle 16.30 al Salone del libro e alle 20 alla libreria Pantaleon

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