CINEMA

Papa Francesco secondo Wim Wenders: viaggio personale e intimo

di Andrea Chimento

Papa Francesco

2' di lettura

Papa Francesco secondo Wim Wenders: il regista tedesco è tornato al cinema documentario (quattro anni dopo «Il sale della terra», sul fotografo brasiliano Sebastião Salgado) raccontando una delle personalità più significative del nostro tempo. Inserito fuori concorso al Festival di Cannes, «Pope Francis: A Man of His World» è un film che si apre in maniera piuttosto curiosa: una serie di nuvole si spostano per mostrare dall'alto il panorama di Assisi, mentre una voce narrante parla prima dello scorrere del tempo e poi della vita di San Francesco.

Le prime immagini di Jorge Mario Bergoglio lo mostrano a Buenos Aires nel 1999, mentre parla ai fedeli in una sequenza che viene poi accostata al momento della sua nomina a Papa in Piazza San Pietro, nel marzo 2013. Come evidenzia lo stesso Wim Wenders, più che documentario biografico su Papa Francesco, il film è un viaggio personale insieme a lui, capace di far riflettere per le parole che il capo della Chiesa Cattolica sembra rivolgere direttamente agli spettatori della pellicola.

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Il regista Wim Wenders con Papa Francesco

Il regista alterna interviste e materiale di repertorio con immagini girare ad hoc e altre ricostruite appositamente (ad esempio sulla vita di San Francesco): in molti passaggi è un prodotto piuttosto convenzionale, in altri più curioso e originale. Da un punto di vista prettamente cinematografico non c'è molto di rilevante da evidenziare, anzi, ma resta un prodotto capace di interessare proprio perché rappresenta l’incontro tra un uomo di chiesa tanto importante e un uomo di cinema che, negli ultimi anni, ha dimostrato maggiore efficacia nel campo del documentario che in quello della finzione.

Nella Quinzaine des Réalisateurs ha invece trovato spazio «Climax», il nuovo progetto di Gaspar Noé, uno dei massimi provocatori del cinema contemporaneo. Al centro del film ci sono numerosi giovani ballerini, che si ritrovano per una serata a ritmo di musica in un rifugio isolato nel mezzo delle nevi. Poco alla volta il clima diventa sempre più diabolico ed eccitato finché il party non si trasforma in un vero e proprio incubo.

Da sempre regista estremo e controverso, Noé viene ricordato (e spesso odiato) per il trip lisergico e infinito messo in scena in «Enter the Void» o per le tante sequenze pornografiche in 3D di «Love», presentato al Festival di Cannes del 2015. Questa volta lo stile del regista ha qualche marcia in più, soprattutto in una prima parte che riesce ad appassionare. Peccato però che le intuizioni si esauriscano presto: ciò che rimane è l’ennesimo prodotto realizzato da un autore di talento, ma che finisce per dimostrare troppi limiti di scrittura e una parte conclusiva da dimenticare.

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