petrolio

L’Opec cerca nuovi alleati per i tagli di produzione

di Sissi Bellomo

(REUTERS)

2' di lettura

L’Opec potrebbe avere un asso nella manica per stupire positivamente il mercato: allargare ad altri Paesi la coalizione che sta tagliando la produzione di petrolio. Il gruppo avrebbe invitato altri venti Paesi, secondo fonti Bloomberg. E alcuni hanno accettato di partecipare al vertice del 30 novembre, anche se non è chiaro con quali intenzioni.

Tra questi non ci sono big. Dal Brasile – che pure aveva manifestato disponibilità a presentarsi a Vienna, quanto meno in veste di osservatore – ieri è arrivato un due di picche.

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Ha declinato l’invito, com’era prevedibile, anche la Norvegia. E lo stesso hanno fatto Egitto, Colombia, Camerun e Niger.

In compenso si sono fatti avanti Chad, Turkmenistan e Uzbekistan. E altri potrebbero seguire. L’elenco degli invitati comprenderebbe anche Argentina, Benin, Bolivia, Congo e Repubblica democratica del Congo, Costa d’Avorio, Ghana, l’ex-Opec Indonesia, Mauritania, Sudafrica e Tajikistan.

Trovare nuovi alleati potrebbe essere cruciale per l’Opec, che su altri fronti sta rischiando grosso. Il mercato si aspetta infatti una proroga dei tagli fino al termine del 2018 e qualunque soluzione in chiave minore minaccia di scatenare un’ondata di vendite sul barile, considerata l’estrema posizione rialzista dei fondi. Nonostante le pressioni saudite, non è tuttavia scontato che una decisione in tal senso riesca ad essere annunciata già la settimana prossima.

In Russia c’è stato un nuovo incontro tra il ministro Alexander Novak e le compagnie locali, durante il quale secondo l’agenzia Tass si è parlato di una proroga di sei mesi (e non di nove come vorrebbe Riad). Inoltre non si sarebbe neppure riusciti a trovare un accordo, a causa dell’opposizione di Gazprom Neft.

Quest’ultima ha poi diffuso una mezza smentita, precisando che «le discussioni sui vari possibili sviluppi dell’accordo Opec+ continuano» e che «si sta formando una posizione comune».

Ieri il petrolio si è rimesso a correre, soprattutto negli Stati Uniti, dove il Wti si è spinto oltre 58 $/barile, al record da due anni. Le relazioni tra l’Opec e i suoi alleati sono tuttavia rimaste sullo sfondo.

Ad alimentare gli acquisti è stata soprattutto l’indiscrezione secondo cui l’oleodotto Keystone, che trasporta greggio dal Canada agli Usa, potrebbe funzionare a ritmo ridotto per tutto il mese, dopo la falla che il 16 novembre ha provocato uno sversamento in South Dakota.

TransCanada, proprietaria della pipeline, avrebbe informato i clienti di riduzioni dell’85% o più rispetto alla normale portata di 590mila barili al giorno.

L’impatto si è già visto sulle scorte:  a Cushing – punto di arrivo di Keystone, oltre che di consegna del Wti – sono scese di 1,8 milioni di barili la settimana scorsa, secondo l’Eia (il calo totale per gli stock di greggio è stato di 1,9 mb).

Le statistiche hanno anche evidenziato robusti consumi di benzina negli Usa, che hanno lasciato invariate le scorte del carburante benché le raffinerie abbiano lavorato al 91,3% della capacità.

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