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Guerra commerciale, così Wall Street rischia un ribasso del 20%

di Andrea Franceschi

(AFP)

2' di lettura

Il protezionismo continua ad essere il principale fattore di rischio sui mercati finanziari. Un tema tornato alla ribalta nei giorni scorsi quando gli Stati Uniti hanno annunciato nuove tariffe su 200 miliardi di merci importate dalla Cina. Aprendo così un nuovo capitolo nella guerra commerciale partita con i dazi sull’importazione di acciaio e alluminio (che hanno colpito anche la Ue e il Canada) e proseguita con tariffe sull’import di merci cinesi per un controvalore di 50 miliardi di dollari (in vigore dal 6 luglio su 34 miliardi di dollari di merci mentre per i rimanenti 16 miliardi toccherà aspettare agosto).

In attesa di capire che succederà con l’Unione europea, con cui è aperto un fronte che riguarda i dazi al 20% sulle importazioni di auto minacciati da Trump lo scorso 22 giugno, gli investitori iniziano a fare i conti con le ripercussioni di mercato legate alla guerra commerciale che hanno riguardato, in varia misura, diverse classi di investimento: dai mercati emergenti (-14% la performance del Msci Emerging Markets dai massimi di fine gennaio) alle materie prime (l’indice Bloomberg commodities ha perso il 7,4% sempre da fine gennaio) passando per i bond ad alto rischio (-3,49% la performance dell’indice BofA Global High yield).

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Da quando i toni sul tema dazi si sono infiammati nell’ultimo mese e mezzo tra Cina e Stati Uniti l’indice Shanghai Composite ha perso oltre l’8% mentre lo yuan cinese si è svalutato di oltre il 5% sul dollaro. E Wall Street? La Borsa americana ha mostrato di saper reggere meglio di tutti. Nell’ultimo mese e mezzo l’indice S&P 500 ha guadagnato il 5,7 per cento.

A giudicare da queste performance verrebbe da dar ragione a Trump quando dice che le guerre commerciali sono «facili da vincere». Un inasprimento delle barriere al commercio rischia di fare male soprattutto a chi esporta più di importare come la Cina e meno a chi, come gli Stati Uniti, ha un deficit nel commercio con l’esterno. Ma è proprio vero che gli Usa non hanno nulla da perdere?

Le attuali valutazioni di mercato si basano sui fondamentali delle società quotate. Che sono ottimi sia se si guardano i bilanci passati sia se si guarda al futuro (gli analisti stimano una crescita del 20% degli utili delle big americane che fanno parte del listino S&P 500). Ma che rischiano di deteriorarsi se l’escalation sui dazi dovesse portare a una guerra commerciale su scala globale tale da innescare una recessione di cui anche gli stessi Stati Uniti potrebbero pagare le conseguenze.

Allora anche gli utili di Wall Street rischiano di registrare una battuta d’arresto. Con inevitabili ripercussioni sull’andamento della Borsa. Gli analisti di Ubs hanno analizzato in un recente report il fenomeno del protezionismo e le sue possibili ripercussioni sull’economia e sui mercati e sono arrivati a stimare, in caso di escalation nel confronto visto finora tra Stati Uniti e Cina, una flessione del 6% degli utili delle società quotate Usa e un potenziale ribasso del 10% delle quotazioni dell’indice.

Qualora invece si dovesse arrivare a una guerra commerciale su scala globale è possibile ipotizzare un calo del 15% degli utili e un ribasso potenziale dell’indice S&P 500 superiore al 20 per cento.

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