RAPPORTO DI «EF»

Parlare inglese fa bene a Pil e portafoglio. Italia: fanalino di coda Ue

di Laura Cavestri

(Marka)

3' di lettura

Miglioriamo sì. Ma molto lentamente. La padronanza della lingua inglese non riesce a penetrare nel tessuto profondo della società italiana. Ed è un peccato. Perchè l’ultimo rapporto di EF (il settimo dell’organizzazione internazionale che dal 1965 organizza vacanze studio e corsi di lingue all’estero http://www.ef-italia.it/epi ) – presentato questa mattina – certifica che meglio si parla e si scrive in inglese e più crescono il Pil del “sistema Paese” e il reddito personale, la capacità di fare business e di crescere all’estero. Può sembrare intuitivo. EF ha cercato una correlazione tra gli elementi.

Inglese e Pil
EF ha cercato di mettere in relazione – per un campione di 80 Paesi (più ampio rispetto alle precedenti edizioni) – il legame tra lingua inglese e diversi indicatori relativi alle attività di import/export (inclusa l’efficienza logistica, la compliazione dei documenti di esportazione e le tempistiche), il Pil nazionale e il reddito nazionale lordo pro-capite. Maggiore è alto il punteggio nei test di lingua inglese nella maggioranza della popolazione e maggiore è la capacità di successo nel fare impresa.

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INGLESE E AFFARI

indice di facilità di fare impresa. (Fonte: Banca mondiale, 2016)

INGLESE E AFFARI

Non è sempre stato così. In Italia la correlazione, in passato, non era automatica. L’Italia pre-crisi lo dimostra: tessuto di impresa dinamico e padronanza linguistica relativamente bassa da sempre. Ma proprio l’esistenza di una forte domanda interna, di Pmi che potevano “permettersi” di produrre quasi esclusivamente per il mercato interno, per anni non ha spinto molte imprese all’export e a confrontarsi con la lingua del business oltreconfine, nè a formare personale qualificato. Da quando l’export è invece diventato “l’ancora di salvezza” dei fatturati delle impresa, questi nodi sono venuti al pettine. Molte Pmi sono andate con successo (o si sono consolidate) all’estero. Ma sul totale di quelle esistenti, la loro percentuale resta tuttavia minoritaria. E non sono poche quelle che ancora ammettono di non avere abbastanza tecnici, impiegati, dirigenti o amministratori capaci di esprimeresi in un inglese fluente.

In cima alla classifica ci sono sempre loro. Gli inossidabili scandinavi. In base ai risultati dell’EF standard english test superato dai cittadini dei differenti Paesi, hanno un inglese “alto” Olanda, Svezia, Danimarca, Norvegia, Singapore, Finlandia, Lussemburgo e Sud Africa. Seguono, con “buono”, Germania, Austria, Polonia, Belgio,Malesia, Svizzera, Filippine, Serbia, Romania, Portogallo, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Noi siamo nel gruppo “medio”. Dietro a Bulgaria, Grecia, Lituania, Argentina, Repubblica Dominicana, India, Spagna, Hong Kong, Corea del Sud, Nigeria e Francia.

MEDIE REGIONALI DELL’ EF EPI

Punteggio Ef Epi. Dati in percentuale

MEDIE REGIONALI DELL’ EF EPI

L’Europa è il continente con il livello di inglese più alto: 8 stati nella top 10, con Olanda e Paesi Scandinavi al vertice. L’Asia è al secondo posto, ma presenta ampie differenze fra le diverse nazioni della regione. I Paesi del Medio Oriente occupano le posizioni più basse.

La situazione dell’Italia
L’Italia è al 33° posto della classifica generale (su 80 Paesi). Con un punmteggio medio di 54,19 siamo sotto alla media Ue (55.96). E siamo l’ultimo tra i Paesi Ue, superati quest’anno, anche se per pochi punti, dai cugini francesi.
Analizzando l’apprendimento delle lingue a livello regionale, si continua ad evidenziare il divario fra Nord e Sud. Le Regioni con il miglior livello di competenza in inglese sono anche quest’anno Friuli Venezia-Giulia, Lombardia, Liguria ed Emilia-Romagna (che superano il 56 e si collocano sopra la media europea). Agli ultimi posti, Puglia, Calabria, Sicilia e Basilicata (sotto il 51).
La città dove si parla l’inglese migliore è Genova, seguita da Bologna e Milano.
Come per molti Paesi europei, anche in Italia quest’anno si assottiglia il divario di genere (le donne sono un po’ più brave degli uomini, 54 a 53) . Ma nel nostro Paese resta, comunque, molto elevato il divario tra le diverse fasce di età, con il punteggio migliore raggiunto dai giovani tra i 18 e 20 anni.

La scuola italiana non colma le carenze
Insieme al rapporto EF Epi generale, oggi è stato pubblicato anche l’indice di conoscenza dell’inglese per le scuole (Epi-s), che analizza le competenze linguistiche di studenti delle scuole superiori e università in 26 nazioni. Per l’Italia vengono riportati i risultati della rilevazione 2016 effettuata in collaborazione con il Miur in oltre 600 scuole superiori di 10 regioni italiane sui ragazzi del terzo anno. I risultati evidenziano come negli istituti professionali, ad esempio, il 90% degli alunni abbia un livello molto basso (A1 o A2). Mentre la Sardegna ha il doppio di studenti di livello A1 rispetto all’Emilia-Romagna (che a scuola registra le performance migliori).
«Nell’attuale economia globale, i benefici che derivano dalla conoscenza dell’inglese, hanno un impatto che supera ogni confine– ha sottolineato Thibaut Hardelay, country manager EF Italia –. Per questo, gli investimenti previsti dal sistema educativo per l’insegnamento dell’inglese in Italia devono continuare, sia nella formazione che nell’ aggiornamento dei docenti, favorendo sempre più gli scambi culturali e le esperienze di soggiorno studio all’estero».

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