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La filiera emiliana del gelato diventa business solidale in Mozambico

di Ilaria Vesentini

3' di lettura

Gelato e pasticcini, toccasana per il buonumore dei consumatori e dei produttori di macchinari e ingredienti (in virtù della dinamica anticiclica di un business che solo in Italia muove 1,4 miliardi di euro), diventano ambasciatori di speranza per le popolazioni più svantaggiate. La filiera emiliana del gelato artigianale, che rappresenta la leadership mondiale del settore tra costruttori di tecnologie e semilavorati, è infatti protagonista di un progetto pilota in Mozambico che mira a formare giovani maestri gelatai e pasticceri africani e a fornire tutto il necessario - dalle attrezzature alle competenze – per realizzare una fabbrica-laboratorio-scuola che ha l’ambizione di diventare un modello seriale di impresa sociale da replicare in tutte le zone svantaggiate del mondo.

“Baking, pastry and gelato art training Center” è il nome del progetto presentato ieri a Bologna dal Rotary Club – che ha finanziato la quasi totalità dell’investimento, 95mila dollari, assieme ad Agape Onlus – grazie al sostegno di due brand simbolo quali Carpigiani (numero uno al mondo nelle macchine per gelato), attraverso la Fondazione Bruto e Poerio Carpigiani, e di Fabbri 1905, lo storico marchio nato con le amarene.
Dall’autunno 2018 il progetto diventerà operativo a Ressano Garcia, una città del Mozambico al confine con il Sudafrica dove operano le Suore Scalabriniane, dove sorgerà un laboratorio di produzione e vendita di gelato e prodotti da forno e pasticceria e un centro di formazione. Lo stesso progetto sarà realizzato anche in Etiopia, dove le suore salesiane della missione Kedane Mehret di Adwa realizzeranno laboratori e corsi di pasticceria e gelateria nelle scuole salesiane.

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La formazione dei prime cinque giovani africani, tra insegnati e allievi, inizierà lunedì prossimo a Bologna e prevede un corso di gelateria presso la Carpigiani Gelato University, l’altro di pasticceria alla Iscom-Scuola di gusto e nei laboratori di Fabbri Master Class. Il percorso di formazione sarà completato in Mozambico nell’estate 2018 dal Maestro pasticcere Gino Fabbri e da tecnici gelatieri e pasticcieri di Fabbri 1905 residenti in Sudafrica che hanno già incontrato a Maputo i responsabili locali del progetto e i corsisti. Tra cui ci saranno anche quattro giovani donne madri ospitate dalla comunità religiosa. «Vicino al confine con il Sudafrica realizzeremo un vero e proprio laboratorio di produzione e vendita con una gelateria mobile perfettamente attrezzata, per la vendita diretta di gelato ma anche per fornire i ristoranti locali», spiega Nicola Fabbri, l’ad della secolare azienda dolciaria familiare di Bologna, 300 dipendenti, 80 milioni di fatturato, 10 filiali nel mondo. Pioniere della gelateria e pasticceria italiana in Africa, tanto che saranno suoi referenti a seguire passo a passo lo sviluppo dell’impresa sociale in Mozambico.

Fabbri 1905 non è nuova ad attività solidali (ha attivato corsi di formazione per le detenute del carcere di Bollate e attraverso il concorso per barmen Cockt-Ail raccoglie fondi per l’Associazione italiana contro le
leucemie), così come non è la sua dirimpettaia di casa sulla via Emilia: la Carpigiani, che attraverso la sua Fondazione ha già realizzato gelaterie solidali in India e Brasile. «La peculiarità di questo progetto è che non dona del denaro o un macchinario, perché le probabilità che da un’azione spot nasca un’impresa sostenibile sono bassissime, soprattutto in una terra dove anche la disponibilità di acqua ed energia elettrica sono un problema. Ha messo invece in moto una catena di protagonisti che sono tutti corresponsabili della riuscita dell’iniziativa, con un processo studiato in ogni dettaglio attraverso un business plan che diventa replicabile su larga scala», spiega Achille Sassoli, market development director di Carpigiani Group, leader assoluto di mercato con 150 milioni di euro di ricavi e il 60% della nicchia mondiale delle macchine per gelato. «I tre ragazzi mozambicani e i due etiopi inizieranno ora una full immersion nel nostro campus universitario di Anzola – conclude Sassoli – non da soli ma all’interno del corso base e intermedio con altri 24 studenti provenienti da Usa, Egitto, Australia, Indonesia, Corea del Sud, Bolivia, Iran...e la speranza che da questa contaminazione nasca un’ulteriore disseminazione in tutto il mondo».

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