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Affitti brevi sui portali online. «Il nero vale quasi 200 milioni»

di Alberto Annicchiarico

4' di lettura

Un milione di annunci di affitti on line, di cui quasi la metà, 397mila per la precisione, appannaggio del portale Airbnb. A seguire, sul podio, Booking.com con 168.500 e Housetrip con 109mila. Gli annunci sono concentrati nelle città d’arte e nelle mete di vacanza più richieste, con, tra le regioni, la Toscana nettamente in testa davanti a Sicilia, Lazio e Lombardia. Il boom degli alloggi turistici continua con un andamento esponenziale.

Lo ha fotografato Federalberghi con un dossier chiuso ad agosto e diffuso martedì, che rimanda l’immagine di un sistema capillare di shadow hospitality. I risultati della ricerca entrano in contrasto stridente con la narrazione di un’economia della condivisione ed evidenziano piuttosto una realtà di sommerso imponente potenziale.

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L’ospitalità alternativa a quella regolamentata porta con sé anche un’evasione fiscale consistente, nel primo anno di test della nuova norma sulla cedolare secca per gli affitti brevi (con durata inferiore ai 30 giorni) in vigore da giugno 2017. Secondo Federalberghi i soli host (cioè i proprietari) presenti su Airbnb nel 2016 hanno ricavato in Italia 621 milioni di euro, sui quali il portale californiano avrebbe dovuto effettuare e versare ritenute per circa 130,4 milioni che andrebbero invece dichiarati dal proprietario. Ai tassi di crescita attuale si può quindi calcolare una cifra vicina ai 200 milioni.

Il presidente degli albergatori italiani, Bernabò Bocca, ha consegnato il dossier al ministro del Turismo, il leghista Gian Marco Centinaio, chiedendo che venga istituito con urgenza il registro nazionale degli alloggi turistici e «che si affermi con chiarezza, anche per le locazioni brevi, l’obbligo di rispettare le norme di tutela dei clienti, dei lavoratori, dei vicini di casa, della collettività, della concorrenza».

Un altro obiettivo suggerito è quello di adottare misure che pongano un argine allo spopolamento dei centri storici, conseguenza della tendenza a sfrattare i residenti per far posto ad attività di locazione breve, decisamente più redditizie. In molti Paesi questo obiettivo è stato ottenuto, sostiene Federalberghi, assoggettando le locazioni brevi a condizioni e limitazioni: le abitazioni private possono essere affittate ai turisti solo se il proprietario è residente nell’appartamento, per un numero massimo di giorni all’anno, per un numero massimo di persone per notte, solo per una porzione dell’appartamento. Per questo la richiesta degli albergatori è: stesso mercato, stesse regole.

Alle conclusioni degli albergatori si oppone Hostpiuhost, che riunisce i proprietari che affittano su Airbnb: «Non c'è nessuna shadow economy - sostiene l’associazione - la differenza tra strutture extralberghiere censite e alloggi presenti in rete dipende banalmente dal fatto che per le locazioni brevi ancora non esiste un sistematico obbligo dichiarativo ai fini Istat». E attacca: «Vedremo di offrire l’elenco di tutte le strutture alberghiere affinché sia facilitato il compito di contrasto al fenomeno dell’evasione in generale e della tassa di soggiorno in particolare».

Dal dossier di Federalberghi - frutto della collaborazione con due istituti di ricerca indipendenti, l’italiano “Incipit srl” e lo statunitense “Inside Airbnb” e che si può visualizzare online su Infodata - si giunge a quattro tesi chiave: gli alloggi in affitto breve non sono forme integrative del reddito, dato che oltre il 62% è gestito da soggetti che gestiscono un numero consistente di appartamenti, con punte record di 4mila; non si tratta di strutture esperienziali, in cui c’è condivisione con il titolare, dato che il 77% degli annunci si riferisce a interi appartamenti; non si tratta di attività occasionali, visto che nel 65% dei casi gli alloggi sono disponibili per oltre sei mesi all'anno; non vanno a completare l’offerta su rotte poco battute dal turismo mainstream ma anzi si concentrano proprio dove c’è maggiore offerta di strutture alberghiere.

Tra le città italiane maggiormente interessate dal fenomeno troviamo Roma con 29.519 annunci, Milano con 18.482, Firenze con 11.341, Venezia con 8.025 annunci e Napoli con 6.858 annunci. Per quanto riguarda le regioni, la pole position spetta alla Toscana, con 59.320 annunci, seguita dalla Sicilia con 51.022, dal Lazio con 40.700 e dalla Lombardia con 40.494. La densità maggiore (numero di annunci per chilometro quadrato) si registra in Liguria, mentre l’incremento maggiore si è verificato in Trentino Alto Adige (+131,9% rispetto ad agosto 2016).

Secondo Centinaio il turismo è una delle partite principali che il Governo vuole giocare e, almeno nelle intenzioni, la battaglia all’illegalità sarà la punta di diamante del nuovo corso. Ne ha parlato ieri nell’audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero davanti alle commissioni di Camera e Senato e lo ha poi ribadito alla riunione di giunta di Federalberghi a cui ha presenziato. «Stiamo lavorando - ha ricordato il ministro - a un progetto per fornire un codice identificativo per le strutture ricettive e contrastare tutte le pratiche che stanno danneggiando l’industria turistica del nostro Paese».

Nell’attesa si potrebbe iniziare a guardare, tornando al dossier di Federalberghi, cosa succede fuori dai nostri confini. Per frenare il diluvio di alloggi turistici, ad Amsterdam, gli appartamenti privati possono essere affittati per non più di 30 giorni all’anno e possono ospitare al massimo quattro persone per volta. A Barcellona (città in cui i residenti hanno organizzato più di una protesta contro l’invasione dei turisti) è possibile affittare al massimo due stanze per appartamento, per non più di 4 mesi all’anno, a condizione che il proprietario vi risieda (non è possibile affittare appartamenti interi). Mentre a Berlino l’affitto di seconde case è consentito per un massimo di 90 giorni all’anno. Perfino San Francisco, dove ha sede Airbnb, ha messo uno stop: se il proprietario non vi risiede stabilmente, l’appartamento può essere affittato per un massimo di 90 giorni all’anno.

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