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Dazi antidumping, una difesa più «mirata»

di Giorgio Barba Navaretti

(Marka)

3' di lettura

L’impossibilità di stabilire cosa sia davvero un’economia di mercato ha indotto l’Unione Europea a varare una nuova normativa per il calcolo di dazi antidumping fondata su un’identificazione accurata, caso per caso, delle distorsioni che possono dare origine alla concorrenza sleale degli esportatori.

La necessità di varare una nuova normativa nasce dalla Cina. Con il suo ingresso nella Wto nel 2001, e la conseguente apertura degli scambi, alle economie avanzate venne concessa un’arma per difendersi da un’eventuale concorrenza sleale: l’attribuzione all’impero di mezzo dello status di economia non di mercato. Distinzione non solo formale. Nel caso di economie di mercato, la verifica dell’esistenza del dumping (esportazione a prezzi sotto-costo) viene effettuata sulla base dei costi effettivi del produttore. Se un’economia è non di mercato, invece, dato che i prezzi domestici sono distorti, si deve ricorrere ad altri parametri, come i costi di produzione in altri Paesi analoghi. Ad esempio, confrontando la Cina ai costi di produzione del Brasile. Grazie a questa procedura l’Unione Europea ha in attivo dazi antidumping per una cinquantina di prodotti cinesi. Il sub-paragrafo 15(a)(ii) del protocollo di accessione alla Wto della Cina, che le attribuisce appunto lo status di economia non di mercato, è però scaduto nel dicembre 2016. Di conseguenza, l’Ue non può mantenere la procedura basata sui prezzi del Paese analogo. Insomma non c’è più spazio istituzionale per considerare la Cina un’economia non di mercato. E dunque l’applicazione delle misure antidumping diventa molto più complessa.

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Il problema è che non è chiaro cosa sia oggi l’impero di mezzo. L’intreccio tra comando e mercato rimane fortissimo. La crescita delle imprese cinesi dipende anche da condizioni di contesto garantite da una classe politica intrusiva che ha ancora moltissime leve per favorire i propri produttori e per concedere vantaggi non compatibili con le regole della libera concorrenza. Trattare la Cina come qualunque altro membro della Wto darebbe alle imprese cinesi un vantaggio non equo.

Il quadro è però diverso da quello di quindici anni fa. Il ruolo del mercato è cresciuto moltissimo e i margini competitivi dovuti al basso costo del lavoro e al dumping ambientale si sono erosi nel tempo. Quindi, cercare di convincere gli altri membri della Wto a prorogare lo status di economia non di mercato sarebbe stata una missione impossibile

La nuova proposta Ue è un’ingegnosa quadratura del cerchio. Il punto di partenza è neutrale: viene meno la definizione ex ante tra economia di mercato o non di mercato: tutti i paesi sono uguali. E la Cina è come gli altri membri della Wto. Ma viene introdotto un meccanismo puntuale per difendersi dai concorrenti che distorcono i mercati (chiunque, non solo la Cina). Se imprese europee o sindacati o altri stakeholders hanno dei sospetti di possibili distorsioni, possono fare una segnalazione alla Commissione, che avvia un’indagine e redige un rapporto. Se si stabilisce che le distorsioni ci sono davvero, allora il vecchio metodo del paese analogo può essere applicato. E insomma rientrano dalla finestra le stesse regole che valevano per le economie non di mercato. A questo punto compatibili con la Wto.

Con due differenze sostanziali, però. La prima, è che sarà possibile essere selettivi, distinguendo anche tra settori e non solo tra paesi. Sarà così possibile trattare esportazioni cinesi non soggette ad eccessive distorsioni come quelle di qualunque economia di mercato. Le seconda, è che è stato allargato considerevolmente il principio di distorsione, includendo anche dumping sociale ed ambientale. Si potrà sostenere che c’è distorsione se i lavoratori non sono trattati secondo i criteri dell’Ilo o se non vengono rispettate le convenzioni sull’ambiente. Queste regole sminano le più inique fonti di concorrenza sleale, ma aprono la porta a maggiore aleatorietà nella identificazione della distorsione.

Il meccanismo di difesa dell’industria europea ne esce più mirato e in parte rafforzato. La sua effettiva applicazione non sarà però semplice e richiederà molto equilibrio per evitare che venga usato a fini protezionistici, diventando noi distorti per difenderci dalle distorsioni altrui.

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