Asia e Oceania

Film di famiglia e di guerra: “Haiku on a plum tree” di Maraini

Dal nostro corrispondente Stefano Carrer

3' di lettura

Sarebbe stato semplice trovare scuse per fare la scelta più comoda: in fondo, altri dicevano, si trattava di una formalità. E soprattutto c'erano le tre figlie piccole. Ma i due giovani genitori, dopo l'8 settembre, rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salo' - come esigevano le autorità giapponesi - e per questo furono internati in campi di prigionia a Nagoya, dove patirono freddo e fame. Le bimbe rischiarono di morire e un giorno, per guadagnarsi il rispetto dei carcerieri, Fosco Maraini, confidando nelle particolarità della psicologia giapponese, si taglio' il dito mignolo di fronte a tutti. Le razioni di cibo aumentarono un po'. Dopo la fase dei bombardamenti americani, arrivo' la fine della guerra e dal cielo piovvero finalmente le prime ampie provviste sui confinati. Maraini (1912-2004) non lascio' il Giappone. Anzi, ne divenne il massimo conoscitore, al quale tutti gli italiani che hanno un forte interesse per il Sol Levante si sentono riconoscenti per la sua poliedrica opera di scrittore, esploratore, antropologo, accademico e fotografo documentarista.

Film di famiglia e di guerra: Haiku on a plum tree di Maraini

FILM-DOCUMENTARIO. La gratitudine si estende ora alla nipote Mujah Maraini-Meleni, che nel suo primo film documentario (presentato per la prima volta in Giappone all'Istituto italiano di cultura di Tokyo) “Haiku on a plum tree” racconta questa storia di famiglia che ascende a significati universali.
Mujah e' la figlia di Toni, terzogenita di Fosco Maraini e Topazia Alliata, che con le due sorelline Dacia e Yuki passo' due anni di ordalia (e aveva solo due anni). I due genitori - giovani belli, dinamici e anticonformisti nell'Italietta autoritaria degli anni '30 - si trasferirono in Giappone nel 1938, quando lui ebbe incarichi di insegnamento prima in Hokkaido e poi a Kyoto, finendo poi nel turbine della guerra. Nel film, molto e' raccontato dalla viva voce di Topazia - figlia di una aristocratica famiglia siciliana, artista e gallerista tra i protagonisti della vita culturale romana dagli anni '60 -, lucidissima fino alla morte avvenuta a fine 2015 all'eta' di 102 anni.
“Il progetto e' nato soprattutto da un bisogno personale di raccontare questa storia di famiglia che ho ereditato. Raccontarla alla mia generazione ma anche a quella dei miei figli - afferma Mujah Maraini-Meleni - Dopo aver letto il diario di prigionia di mia nonna, ho sentito l'esigenza di raccontare la storia, ma anche di fargliela raccontare”. Del resto si tratta di una vicenda che traspariva spesso nella quotidianità familiare (“Quando ero bambina, spesso mi veniva detto: mangia tutto, che noi abbiamo patito la fame!”).
“L'istituto Italiano di cultura ha puntato fin dall'inizio su questo lavoro - dice il direttore dell'IIC, Paolo Calvetti - Il mio precedessore Giorgio Amitrano aveva gia' accolto la troupe quando il documentario si stava girando. Siamo molto contenti di averlo potuto proiettare qui: abbiamo sostenuto questa esperienza anche con i sottotitoli in giapponese. E speriamo che possa essere distribuito in questo Paese”. Non c'e' alcun malanimo verso il Giappone: questo aspetto e' tra quelli che più ha colpito il pubblico nipponico. E' la guerra che e' guerra: al di la' della tragedia del conflitto, traspare una grande attenzione per le persone e i popoli.
La colonna sonora e' di Ryuichi Sakamoto. “Mentre montavo il film ho sempre ascoltato, e sentivo proprio dentro, le musiche di Sakamoto. Non pensavo davvero che fosse possibile, ma gli ho scritto che ero al mio primo film, con un piccolo budget ma con una grande storia - rivela la regista - Lui mi ha risposto: mi interessa moltissimo, non prometto niente ma parliamone. Ed e' stato molto generoso”. Alla fine Sakamoto ha composto un brano originale, chiamandolo “Italian Ainu” (in omaggio all'opera di antropologo di Fosco Maraini tra le popolazioni native dell'Hokkaido). Non si erano mai conosciuti, ma il musicista e' rimasto impressionato da quella vicenda di guerra e prigionia.
Nel finale del film - conclude la regista - “quando torno per la seconda volta sul sito del campo di Tempaku, incontro alcuni bambini. Vedo che ci sono tre bambine meravigliose di eta' apparente di due, quattro e otto anni. Piu' o meno come mia mamma e le mie zie all'epoca. E' stato un momento molto bello, come se le avessi li' con me. Mi sono commossa: i bambini sono la speranza, il futuro, la vita che va avanti”.
Un paio di nuovi progetti sono in gestazione. “Vorrei raccontare altre storie, non solo di famiglia. Ma ho talmente tanto materiale d'archivio per fare altri 4 o 5 film. Sto quindi lavorando su un progetto riguardante mio nonno e il viaggio. Il suo lavoro di antropologo e esploratore in Tibet, in Giappone e anche in Sicilia”.

Loading...
Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti