L’intervento italiano

I rischi militari e politici della missione in Niger

di Gianandrea Gaiani

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3' di lettura

Smentita dal Governo nel maggio scorso, quando si era diffusa la voce di un’operazione militare della Ue nel Sahel, la missione militare in Niger prenderà il via dopo il ritorno da Niamey del team di ricognizione guidato dal generale Antonio Maggi e dopo il via libera del Parlamento.

L’intervento italiano sarà inquadrato nella più ampia operazione euro-africana varata al vertice di Celle Saint Claud dal presidente francese Emmanuel Macron ma che non ha ancora raggiunto i 423 milioni di euro di finanziamenti necessari. La Ue ne stanzierà 50 come gli Usa e i 5 Paesi africani coinvolti (Mali, Burkina Faso, Mauritania, Niger e Ciad), 8 la Francia, 100 i sauditi e 30 gli Emirati arabi uniti che sostengono il contrasto ai jihadisti del Sahel sostenuti dal rivale Qatar.

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Grazie ai contingenti tedeschi, italiani, spagnoli e belgi, Parigi potrà alleggerire gli organici dell’operazione Barkhane che da quattro anni combatte i jihadisti nel Sahel. Macron potrà quindi ridurre l’impegno nazionale (4mila uomini con oltre 500 veicoli e più di 30 velivoli) pur mantenendo il comando delle operazioni nelle ex colonie francesi.

L’operazione rischia quindi di vedere gli italiani relegati al ruolo di gregari o “ascari” di quella Francia che continua a essere il peggior rivale dell’Italia in Libia. Del resto l’operazione nasce all’insegna di un’ambiguità frutto in parte della retorica sulle “missioni di pace” e in parte dell’imminente scadenza elettorale.

Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha parlato di una «missione che avrà il ruolo di consolidare il Niger, contrastare il traffico degli esseri umani e il terrorismo».

In quella regione i traffici illeciti (droga, armi ed esseri umani) sono del resto gestiti dalle stesse organizzazioni jihadiste, come hanno confermato già nel 2014 tutte le agenzie d’intelligence presenti nel Paese africano: crimine e jihadismo sono facce della stessa medaglia e contrastarli significa anche combattere.

Il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, ha però riferito che il contingente sarà composto da «alcune centinaia di uomini» ma «non sarà una missione combat» poichè «avrà il compito di addestrare le forze nigerine e renderle in grado di contrastare efficacemente il traffico di migranti ed il terrorismo».

Le truppe italiane, pare incentrate su un battaglione di paracadutisti, avranno compiti di “contrasto” a jihadisti e trafficanti o solo di addestramento delle truppe nigerine?

In quest’ultimo caso sarà sufficiente schierare il contingente all’aeroporto di Niamey dove vi sono già le basi francese, statunitense e tedesca. Da più parti però si evidenzia che ai militari italiani verrà assegnato il pattugliamento del confine tra Niger e Libia, lungo i 600 chilometri e attraversati da piste che possono essere tenute sotto controllo schierando le truppe nell’avamposto di Madama.

La base francese negli anni ’30 ospitava un fortino della Legione Straniera ed è stata riaperta nel 2015 con la costruzione di una pista d’atterraggio per ospitare 200 soldati di Parigi e un centinaio di nigerini. Lo schieramento in questa base comporterà elevati costi logistici poiché mezzi, rifornimenti, truppe e materiali dovranno giungere per via aerea. Inoltre pattugliare quest'area desertica significa effettuare operazioni di contrasto a jihadisti e trafficanti che non possono escludere azioni di combattimento.

Anzi, la presenza di militari “infedeli” sul suolo islamico rischia di attirare i jihadisti che potrebbero colpire le forze italiane con attentati, attacchi con razzi e mortai alla base Madama e con mine e ordigni stradali disseminati sulle piste battute dai veicoli italiani.

In questo contesto per assicurare le necessarie autonomie al contingente occorrerebbero una decina di elicotteri da attacco e trasporto, almeno un paio di aerei cargo, mortai, forze speciali, radar controfuoco e un ospedale da campo: cioè quasi un migliaio di militari con un costo della missione superiore ai 150 milioni annui, compensato con il ritiro di due terzi dei 1.400 militari in Iraq (con aerei ed elicotteri) e la leggera riduzione dei 900 militari in Afghanistan.

Lo scopo dello schieramento a Madama è bloccare i flussi di immigrati illegali che da Agadez muovono verso la Libia ma in un’area così vasta non sarebbe difficile per i trafficanti aggirare il dispositivo italiano sconfinando in Algeria per entrare in Libia a Sud di Ghat.

Per bloccare i flussi migratori illeciti non c’è bisogno di schierare truppe in Niger: sarebbe sufficiente consegnare alla Guardia costiera libica (che l’Italia finanzia, addestra ed equipaggia) i migranti illegali soccorsi nel Mediterraneo dalle flotte italiane e Ue per affidarne il rimpatrio alle agenzie dell’Onu.

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