GUERRA FUORI CONTROLLO

Perché Damasco e Ankara sono in rotta di collisione nel caos Siria

di Roberto Bongiorni

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6' di lettura

Ufficialmente nemici, in pratica alleati contro la Turchia. In una guerra ormai incontrollata, dove le alleanze si forgiano e si disfano a seconda delle contingenze, il regime di Damasco avrebbe concluso un accordo militare con le milizie curdo-siriane, in teoria forze dell’opposizione al regime che controllano oltre un terzo del Paese.

Afrin: soldati siriani in difesa dei curdi contro l'esercito turco.
Secondo l’accordo, confermato sia da fonti siriane sia da fonti curde, Damasco invierà in questi giorni milizie governative ad Afrin, il cantone della Siria settentrionale controllato dai curdi contro cui la Turchia ha lanciato dal 20 gennaio una grande offensiva militare. Sembra che Damasco abbia chiesto ai guerriglieri di consegnare le armi pesanti, invitando le autorità curde ad esporre la bandiera nazionale siriana nei luoghi pubblici. In cambio le milizie siriane si posizioneranno lungo il confine con la Turchia, da dove si erano ritirate nel 2012.

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Per ora questo insolito accordo somiglia più a un avvertimento lanciato alla Turchia di Erdogan. Ma se davvero le milizie fedeli al regime siriano dovessero affluire nel cantone di Afrin per sostenere le milizie curde, la guerra civile siriana rischia di aprire un altro fronte capace di far entrare in collisione due Stati, innescando una reazione a catena in un Medio Oriente già in fiamme.

I nuovi fronti del dopo Isis
Il dopo Isis sta aprendo un vaso di Pandora. Una volta debellata la minaccia jihadista, il 20 di gennaio il Governo di Ankara ha dato il via ad un’operazione militare su larga scala dal nome controverso: “Ramoscello di ulivo”. L'obiettivo, più volte ribadito anche dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, è spazzare via la presenza delle milizie curdo-siriane – le Ypg – non solo dal cantone di Afrin ma anche dai territori della Siria settentrionale prossimi alla frontiera con la Turchia. Ma proprio le Ypg si sono rivelate gli indispensabili scarponi sul terreno utilizzati con successo dalla coalizione internazionale contro l’Isis guidata dagli Stati Uniti. Se lo Stato Islamico non è più uno stato (nei momenti migliori controllava un territorio esteso quanto il Belgio a cavallo tra Siria e Iraq), ed è stato ridotto a cellule sparse nella valle del fiume Eufrate, ciò lo si deve soprattutto al contributo delle Ypg, inquadrate nelle Syrian Democratic forces (Sdf), la coalizione multi-etnica alleata degli Usa dove tuttavia rappresentano l'80% degli effettivi.

Ognuno vede le Ypg con occhio diverso. Per il governo turco altro non sono che terroristi, la longa manus in Siria del Pkk, il movimento secessionista curdo attivo in Turchia nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali stilata da Ankara, ma anche in quella di Stati Uniti ed Unione Europea. Per Washington sono invece alleati così preziosi da ricevere tutt’ora armi ed addestramento militare da parte del Pentagono.
L’offensiva curda ha sparigliato le carte, costringendo gli alleati internazionali dei curdi – decisi a non recidere i rapporti con la Turchia – ad improvvisare equilibrismi diplomatici. Se gli Stati Uniti hanno inizialmente chiuso un occhio davanti all’operazione contro Afrin – riconoscendo le preoccupazioni di Ankara per la sua sicurezza – hanno però ribadito di non voler ritirarsi dalle altre zone curde dove stanno addestrando le Ypg. Come a Manjib, dove Erdogan intende estendere la sua operazione. Che piaccia agli americani o non piaccia.

Erdogan o Assad? L'equilibrismo diplomatico della Russia
Anche la Russia, la potenza internazionale con più influenza in Siria, si trova in una situazione difficile da gestire. Il Cremlino, che di fatto controlla lo spazio aereo su Afrin, ha così assunto iniziative apparentemente contraddittorie. In principio ha dato il via libera di fatto all'offensiva turca permettendo alla sua aviazione di bombardare Afrin. Ma ciò che preme a Mosca è il successo militare di Damasco e il mantenimento dell'integrità territoriale della “Vecchia Siria”.
Pur affermando di comprendere le preoccupazioni turche riguardo la sua sicurezza, Mosca sembra appoggiare l'accordo tra curdi e Damasco. E preferisce puntare il dito contro gli Stati Uniti. «Stiamo assistendo a un tentativo di usare i curdi in un gioco geopolitico, che non ha nulla a che fare con i loro interessi e invitiamo tutti coloro, che sono coinvolti in questi processi a fermarsi e iniziare a cercare compromessi», ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, aggiungendo. «Abbiamo ripetutamente affermato che sosteniamo pienamente le legittime aspirazioni del popolo curdo».

La risposta turca non si è fatta attendere. «Nessuno può fermare le forze turche se il regime siriano entra ad Afrin per proteggere le milizie curde Ypg» ha replicato il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusgolu, chiosando con una dichiarazione che appare provocatoria. «Se il regime (siriano) entra ad Afrin per eliminare l'Ypg non c'è nessun problema».
Uno scenario che prefigurerebbe un’escalation tra Turchia e Russia, due potenze con interessi diametralmente opposti in Siria che tuttavia hanno da mesi intensificato le relazioni diplomatiche. Riavvicinamento che è legittimo interpretare in chiave anti-americana.

Ecco perché poche ore dopo le bellicose dichiarazioni turche, il presidente russo Vladimir Putin ha avuto un colloquio telefonico con Erdogan in cui è stato fatto il punto proprio sulla situazione ad Afrin. La nota diffusa subito dopo dal Cremlino è improntata all’ottimismo. Si sarebbe aperta una «dinamica positiva» per lo sviluppo della cooperazione russo-turca in base a quanto discusso nei colloqui di Astana. Putin ed Erdogan avrebbero poi ribadito l’intenzione di lavorare insieme all’Iran per garantire il funzionamento delle zone di de-escalation individuate in Siria a cominciare dalla regione montagnosa di Idlib, nel nord ovest del Paese, la roccaforte dell’opposizione armata ad Assad dove è incorso una grande offensiva da parte dell’esercito siriano .
Ma la risposta di Erdogan, riportata dai media turchi, non pare positiva. La Turchia “continuerà la sua avanzata verso Afrin con determinazione”, avrebbe detto il presidente turco a Putin, arrivando perfino a parlare di “conseguenze” in caso di dispiegamento di forze siriane ad Afrin. In uno stretto giro di telefonate Erdogan avrebbe poi parlato con il presidente iraniano Hassan Rouhani per discutere la questione siriana ad Idlibe e Afrin.

Afrin: la guerra sporca che risucchia le potenze regionali
Ma cosa sta accadendo ad Afrin? In questo nuovo fronte, dove ai media indipendenti è impedito di accedere sul luogo del conflitto, è in corso anche una guerra di propaganda. Da entrambe le parti. L’ultimo bollettino diffuso dalle forze militari turche solleva comunque qualche dubbio: sarebbero 1.641 i combattenti dello Ypg “neutralizzati” (cioè uccisi, feriti o fatti prigionieri) nel primo mese dell'offensiva che avrebbe portato l'esercito turco a conquistare 72 località della regione di Afrin. Negli ultimi giorni sono però circolate notizie di gravi perdite turche, almeno 33 soldati oltre a carri armati distrutti e due elicotteri abbattuti. Ma secondo le informazioni diffuse dalle Ypg il bilancio delle perdite turche sarebbe molto più ampio.

Ad Afrin si combatte una guerra sporca. In cui l’esercito turco sta utilizzando 10mila miliziani dell'esercito libero siriano, il primo grande gruppo dell'opposizione armata siriana al regime di Damasco. Secondo le Ypg Ankara avrebbe impiegato sul terreno anche estremisti islamici, inclusi elementi dell’Isis.
Tutto è ancora confuso. A cominciare dall’alleanza tra i curdi e il regime di Damasco. Se è vero che dal 2011 non si sono quasi mai confrontati militarmente (Damasco ha ritirato i suoi soldati dalle zone curde per dirigerli nelle aree di maggior conflitto), la loro alleanza potrebbe rivelarsi in futuro effimera, e addirittura inesistente in altre aree del Paese, soprattutto nelle zone dei giacimenti petroliferi tra Raqqa e Deir Azzor.

Ad Afrin si combatte una guerra sporca. In cui l’esercito turco sta utilizzando 10mila miliziani dell'esercito libero siriano, il primo grande gruppo dell'opposizione armata siriana al regime di Damasco

Tutti contro tutti
Le prossime settimane ci diranno se si sarà davvero aperto un nuovo fronte nella guerra civile siriana. Potrebbe accadere di tutto. Anche che la Turchia ci ripensi e fermi l’operazione. Uno scenario non probabile, ma che circola da alcuni giorni nei corridoi del potere a Damasco, è quello di un possibile accordo tra Turchia e regime siriano: l'esercito turco si vedrebbe aggiudicata una zona cuscinetto profonda alcuni chilometri per impedire eventuali infiltrazioni di elementi dello Ypg nel suo territorio. In cambio rinuncerà a portare avanti l'operazione Ramoscello d'ulivo.
Ma sono solo voci in una feroce guerra giunta ormai al settimo anno. Un conflitto dove ormai si gioca la partita del tutti contro tutti.

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