VERSO LE ELEZIONI

Una campagna elettorale senza «modelli stranieri»

di Riccardo Ferrazza

3' di lettura

Pietro Grasso che vola a Londra per incontrare il leader laburista Corbyn fa venire in mente che il capo politico di Liberi e uguali è un’eccezione in una campagna elettorale in cui sono svaniti i “modelli stranieri”. Le citazioni di Emmanuel Macron nei discorsi di Matteo Renzi si sono diradate, Lega e Fratelli d’Italia non si fanno più fotografare con Marine Lepen e, fallito il gemellaggio con i liberaldemocratici in Europa, il Movimento 5 Stelle rimane solo formalmente nello stesso gruppo di Ukip, gli euroscettici britannici. Quanto a Silvio Berlusconi, non ha mai avuto un omologo estero: i popolari europei, dopo un periodo di grande freddezza, sono tornati a trattarlo con riguardo per la sua funzione anti-populista.

Il legame Leu-Labour è testimoniato dallo slogan elettorale scelto dal cartello italiano di sinistra che è preso in prestito dai colleghi britannici. «Per i molti, non per i pochi» altro non è che la traduzione di «For the many, not the few» che ha guidato la risalita di Jeremy Corbyn nei consensi: dopo le ultime elezioni britanniche il partito è diventato, a sorpresa, la maggiore forza della famiglia socialista del Pse per numero d’iscritti e percentuale di consensi alle urne. Il 68enne pacifista Corbyn, un passato da irriducibile militante socialista, è per Grasso «modello ed esempio». Matteo Renzi, invece, a suo tempo, lo snobbò (il Partito laburista, disse, mostra di «godere nel perdere»).

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Per il segretario democratico il punto di riferimento resta il presidente francese Emmanuel Macron. Nel tempo della campagna elettorale, però, questa connessione ha sempre più una valenza istituzionale e meno politica: Renzi continua a vedere nella leadership di Macron (che lo ha ricevuto all’Eliseo lo scorso novembre) «una benedizione per l’Europa» ma si tiene lontano da altri apprezzamenti. Per lui, il rischio è quello di essere accusato dal suo stesso partito di voler replicare il modello En Marche!, la formazione personale creata dal nulla dall’ex ministro dell’Economia nel governo Valls. E forse un pensiero simile Renzi lo ha pure fatto. «Se avessi dovuto fare il Macron, le condizioni politiche c’erano quando ho perso con Bersani nel 2012 e quando abbiamo vinto le europee» disse alla direzione del suo partito per escludere «un disegno alternativo» per il Pd.

Nel centrodestra Lega e Fratelli d’Italia coltivavano legami di stretta fraternità anche loro con un esponente della politica francese: Marine Le Pen. Due anni fa la figlia del fondatore del Front national era a Milano con Matteo Salvini alla riunione delle destre euroscettiche e in piena campagna anti-referendaria il segretario leghista si spingeva a dire: «Noi stiamo scrivendo una pagina di storia quelli che non piacciono ai giornalisti, con Trump, la Le Pen,
Putin». La sconfitta del Front National alle presidenziali 2017, poi alle politiche e la messa in discussione della sua leadership all’interno del suo stesso partito, ha fatto svanire il riferimento all’ex paladina della destra francese nelle dichiarazioni di Salvini. Giorgia Meloni (Fdi) l’anno scorso, prima delle elezioni francesi, fece sapere: «Non escludo che anch’io in futuro possa fare una campagna come quella di Marine Le Pen». Da allora non si ricordano altre sue citazioni.

«Nessuna “parentela” con Marine Le Pen», ha protestato dieci giorni fa Beppe Grillo in un’intervista a un’emittente svizzera. Ma neanche con il britannico Nigel Farage, l’ex leader di Ukip («Tra un anno sarà primo
ministro inglese» pronosticò Grillo nel 2014), formazione con la quale il Movimento 5 Stelle convive a Strasburgo nel gruppo Efdd. «L’alleanza con Farage è stata un’alleanza tecnica che ci ha permesso di fare la nostra entrata nel Parlamento europeo» è la spiegazione fornita dal fondatore del Movimento 5 Stelle che ormai vive con distacco la campagna elettorale condotta da Luigi Di Maio. Le sue parole fanno tornare alla mente l’incidente in cui M5S incappò proprio un anno fa: un pre-accordo con Alde per entrare nel gruppo dei liberali che incassò il via libera della Rete e poi venne cancellato dal passo indietro del presidente Guy Verhofstadt. Risultato: movimento isolato in Europa.

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