Diritti e rischi

I buchi dell’anagrafe sugli accordi economici

di Angelo Busani

2' di lettura

Forse sarà anche perché la casistica concreta è irrisoria, la legge 76/2016 (Cirinnà) non ha avuto un adeguato seguito burocratico sul punto che il regime di comunione legale dei beni possa essere vigente – per effetto di un contratto di convivenza – tra persone non coniugate o non civilmente unite, ma “solo” conviventi: il sistema anagrafico (che è preposto a registrare le convivenze e i contratti di convivenza) non è stato ancora adeguatamente strutturato e i registri dell’anagrafe sono spesso reticenti sul tema del contenuto di questi contratti di convivenza.

Il problema è perciò notevole: se Tizio, celibe, comprava un immobile prima della legge Cirinnà, l’immobile era invariabilmente appartenente a Tizio. Invece, dal 5 giugno 2016, bisogna chiedersi se Tizio sia partecipe di una convivenza registrata e se, nell’ambito di questa convivenza, abbia stipulato con la sua convivente Caia (o con il suo convivente Caio, dato che la convivenza può anche essere omosessuale), una convenzione per adottare il regime di comunione legale dei beni.

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Se infatti così fosse (ma il problema è: come accertarlo?), quell’immobile apparterrebbe a entrambi i conviventi: notizia rilevante, ad esempio, per il creditore intenzionato a un pignoramento, in caso di conviventi in grave situazione debitoria; oppure, per un acquirente, in caso di rivendita dell’immobile; per gli eredi, in caso di decesso di uno dei conviventi. Il Consiglio nazionale del notariato (nello studio 196/2017/C del 24 gennaio 2018, divulgato però di recente) ha dunque lanciato un allarme per il fatto che non è stato allestito un sistema pubblicitario adeguato a dare idonee e complete informazioni.

Ora, la comunione dei beni è il regime “legale” nel caso del matrimonio e dell’unione civile (e cioè la situazione che si instaura automaticamente, a meno di una esplicita diversa opzione) mentre, nel caso della convivenza, è un regime opzionale: e cioè vale solo se i conviventi ne facciano un’esplicita adozione nell’ambito di un contratto di convivenza.

Va sottolineato, inoltre, che la situazione di convivenza non presuppone una registrazione anagrafica: i conviventi, infatti, possono, ma non devono registrarsi: se non lo fanno, non beneficiano delle norme che presuppongono la registrazione (come quelle inerenti la stipula di un contratto di convivenza dal quale derivi il regime di comunione legale dei beni); beneficiano tuttavia di tutte le norme dettate per la convivenza e che prescindano dalla sua registrazione nonché di tutte quelle situazioni di tutela del rapporto di convivenza che la giurisprudenza ha identificato prima della legge Cirinnà e che questa legge di certo non cancella.

Quindi, è evidente che, a fianco del contratto di convivenza di cui alla legge 76/2016 esiste, e continua ad esistere, un contratto di convivenza di “diritto comune”, basato sul principio generale che afferma la libertà dei privati di stipulare contratti atipici, purché meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. E mentre il contratto di convivenza di diritto comune esplica i suoi effetti solo tra le parti e non può avere effetti verso i terzi, il contratto di convivenza della legge Cirinnà è soggetto a una forma di pubblicità «ai fini dell’opponibilità ai terzi» (articolo 1, comma 52, legge 76/2016) che ne dovrebbe assicurare la rilevanza per la generalità dei consociati.

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