L’Inchiesta

La «via cinese» al bike-sharing: Mobike e Ofo fanno i soldi così

di Alberto Magnani

5' di lettura

In principio fu BikeMi, la flotta di bici in sharing targate comune di Milano. Non l’unico, ma il più noto tra le decine di servizi in condivisione attivi in Italia. Poi sono arrivate loro: Mobike e Ofo, entrambe dalla Cina, con 8mila e 4mila bici distribuite per Milano. Mobike è disponibile con 4mila “pezzi” anche a Firenze, Ofo annuncerà nelle prossime settimane le sue mete di espansione. Ma le analogie non si limitano al passaporto o alla scelta di debuttare in Lombardia. Anzi.

Tutte e due fanno pagare pochissimo il servizio, con tariffe che spingono fino a “massimi” di un centesimo al minuto; entrambe hanno superato il modello station based, basato su una rete di rastrelliere, visto che le bici possono essere posteggiate in libertà (anche troppa) dagli utenti; entrambe devono ancora centrare il pareggio di bilancio, ma lo prevedono in tempi stretti e si sono aggiudicate finanziamenti-monstre da parte di investitori noti anche al grande pubblico. Mobike, fondata nel dicembre 2015, si è assicurata l’equivalente di 928 milioni di dollari e conta tra i suoi investitori la super-holding Tencent. Ofo è più “vecchia” di un anno (2014) e ha incassato 1,2 miliardi di dollari, con iniezioni corpose da parte di Alibaba: il gigante dell’e-commerce che ha raggiunto una capitalizzazione di quasi 460 miliardi di dollari. Le due aziende potrebbero essere vicine a una fusione da cui nascerebbe un colosso da 4 miliardi di dollari.

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I numeri del fenomeno: 17 milioni di bici in due
Non sono solo i round di finanziamento a impressionare. Secondo i numeri comunicati finora, le due aziende hanno messo in circolazione un totale di circa 13 milioni di bici (10 milioni Ofo, 7 milioni Mobike) in 250 città (150 Ofo, 100 Mobike) su scala globale. Ma i progetti sono anche più ambiziosi: la sola Ofo conta di arrivare a 20 milioni di biciclette, agevolata da costi di produzione più leggeri di quelli di Mobike. La stragrande maggioranza delle unità è concentrata in Cina, anche se l’intenzione è di alzare la percentuale di utilizzi fuori dalla nazione di origine con l’apertura di filiali o la scelta di un partner in loco. Ad esempio l’Italia è l’unico paese straniero dove Mobike si appoggia a un distributore: Evlonet, un’azienda che in realtà si occupa di e-commerce e ha sedi sia in Italia che in Cina.

Sui dati finanziari, per ora, è silenzio. Mobike attende il break-even entro il 2018 e Ofo «lo comunicherà in una fase successiva». Un altro nodo in comune è una politica molto aggressiva di prezzi low cost, attuata - a dire delle aziende - per saggiare la sostenibilità del modello in Italia. Ofo sarà del tutto gratis fino al 31 ottobre, quando scatterà un “rincaro” di 20 centesimi nella prima mezzora, 30 centesimi per la seconda e 50 centesimi dalla prima ora in poi. Mobike costa attualmente 30 centesimi a mezz’ora, con l’intenzione di salire a 50 centesimi quando il modello avrà raggiunto una maturità di mercato sufficiente a giustificare la tariffa.

Il modello di business: commissioni... e dati
Prezzi così bassi fanno scattare subito una domanda: come si ricavano margini di guadagno da un servizio che, nella migliore delle ipotesi, frutta 30-50 centesimi a corsa? Interpellate dal Sole 24 Ore, le società dichiarano che le entrate dipenderanno soprattutto dalla fee, lacommissione sull’utilizzo. Alberto Felici, ceo di Evlonet (distributore di Mobike), sostiene che «la fonte di guadagno prevalente è comunque l’entrata tariffaria». La profittabilità del business maturerà di pari passo con l’espansione dell’azienda, secondo un rapporto fisologico tra dimensione della flotta e frequenza degli utilizzi. I costi bassi sono figli del tentativo di far “digerire” il modello alla clientela, ma anche di una dinamica di concorrenza: «Il problema non è che mancano clienti - dice -. È proprio la relazione fra le aziende che spinge ad abbassare la tariffe». La versione è diversa da quella di Ofo: Antonio Rapisarda e Marco Menichetti, rispettivamente country manager per l’Italia e city manager per Milano, spiegano che il basso prezzo è dovuto solo al «processo promozionale per far conoscere meglio il servizio. Non è una guerra di prezzi».

Comunque sia, le entrate potrebbero non arrivare solo dalle commissioni sulla corsa. In inchieste rilanciate dai media internazionali è emersa l’ipotesi che una quota dei ricavi dipenda dalla “vendita di dati”: la cessione, a fini commerciali, di informazioni sulle abitudini dei clienti, ricavate con i meccanismi di profilatura e geolocalizzazione che scattano con l’iscrizione al servizio. I manager italiani di Ofo smentiscono in blocco («Il modello di business è legato alle fee della bici»), mentre da Mobike arriva una precisazione: «È sbagliato far passare il messaggio che tutto il conto economico si basi sulla vendita di dati personali, anche perché è illegale - dice Felici (Evlonet) -. Un altro discorso, più ragionevole, è dire che parte dei ricavi deriverà dalla vendita di servizi alle aziende». Ma cosa si intende con “servizi alle aziende”? E cosa c’entrano con le informazioni tratte dagli utenti? Il principio è semplice: le aziende possono comperare spazi pubblicitari che vengono «targettizzati» a seconda dei macro-dati ricavati dai clienti, come l’età media o la geolocalizzazione delle biciclette. «Un’azienda può inviare pubblicità al cliente a seconda di età o di dove si trova in un certo momento - dice Felici -Ad esempio: l’utente è di fronte a un negozio? E allora la catena di caffetterie lo invita a prendere un caffè».

Le bici “vittime” dei vandali
L’assenza di un luogo fisico per la consegna della bici ha attirato, però, anche l’interesse di una clientela poco gradita ai due marchi: i vandali. Nelle ultime settimane sono circolate le foto di bici Mobike gettate nel Naviglio, ma la casistica di danneggiamenti include bici smontate, tentativi di furto e il parcheggio all’interno di proprietà private, a scapito dei clienti che si affidano alla mappa digitale fornita dalle app per rintracciare il «mezzo più vicino». Sia Mobike che Ofo rispondono con sanzioni graduali: decurtazione di punti per il primo caso, seguita da sospensione del servizio per i recidivi e, a mali estremi, «azioni legali» a risarcimento del danno subìto. A quanto dichiarano le due aziende, è facile risalire agli aspiranti furbetti grazie alla geolocalizzazione delle bici. Meno scontato recuperare il danno a livello economico, visto che i costi dei modelli sono elevati (soprattutto nel caso di Mobike) ed appesantiti dai dazi anti-dumping per l’importazione dalla Cina. Senza contare che la scomparsa di bici riduce la diffusione di mezzi, con conseguenze pratiche per gli utenti (e la loro disaffezione al servizio). I manager di Ofo spiegano che le bici danneggiate sono «alcune centinaia» rispetto alle 4mila totali. Numeri a parte, entrambe le società concordano sul fatto che i ritorni sono «gravissimi, soprattutto a livello di immagine». Ma il tasso di vandalismo, inteso come la frequenza di atti di teppismo o furto, è contenuto rispetto agli standard internazionali. «I numeri degli atti di vandalismo sono molto bassi, Milano e Firenze sono città più virtuose rispetto a quanto si pensi - dice Felici -. Però c’è una particolarità italiana: l’abitudine di portarsi la bici a casa. Questo ci sta creando parecchi problemi».

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