INTERVISTA

Dieter Kempf (Presidente della BDI): «Più politica industriale dalla Ue La Cina non è economia di mercato»

di Nicoletta Picchio

Dieter Kempf, Presidente della BDI

3' di lettura

Una collaborazione «particolarmente importante» in questa fase politica della Ue: «L’Italia e la Germania sono i primi due Paesi industriali, dobbiamo unire le forze nei confronti della politica: l’economia e l’industria rappresentano un aspetto fondamentale per lo sviluppo, la creazione di un maggior benessere e l’aumento dell’occupazione». Dieter Kempf ha appena sottoscritto il documento congiunto tra la Confindustria tedesca, BDI, e quella italiana, insieme a Vincenzo Boccia.

«Condivido il suo pensiero, quando afferma che la crescita è una precondizione per combattere disuguaglianza e povertà». È questo l’impegno su cui bisogna lavorare, in Europa e non solo, in una competizione globale, sottolinea Kempf, che si basi sul fair trade e sulla reciprocità.

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La dichiarazione congiunta evidenzia sintonia su molti argomenti, a partire dalle preoccupazioni per ulteriori strette su credito e Npl. Ma anche digitale, formazione, politiche di coesione. Boccia ha parlato di processo di Bolzano. Condivide?

È importante che i rappresentanti delle due economie si incontrino per trattare tematiche di interesse comune, che anno dopo anno si arricchiscono. La nostra cooperazione è rilevante specie in questa fase in cui ci sono spinte nazionalistiche: l’abbiamo visto con le elezioni in Francia, la Brexit, anche con le nostre elezioni in Germania. Nessuna economia europea è abbastanza grande da poter generare in futuro una crescita economica sufficiente. Bisogna agire congiuntamente, essere trainanti per una nuova prosperità delle nostre popolazioni. È importante che l’economia si posizioni contro questi neo nazionalismi. Nel 2018 discuteremo sui risultati che abbiamo ottenuto nei prossimi mesi, sugli effetti della trasformazione digitale, argomento che sta a cuore a tutti a livello economico e sociale, degli effetti della Brexit ad un anno di distanza dall’avvio del processo di uscita dalla Ue.

La Ue oggi dà più attenzione alla questione industriale e alla crescita: c’è troppa lentezza nell’affrontare questi temi?

La Ue è comunque la soluzione e non il nocciolo del problema. In passato è stata fatta troppo poca politica industriale. Ma non è un rimprovero che va fatto solo alla politica. È una riflessione che faccio anche riferendomi al mondo dell’industria. Dobbiamo far sentire la nostra voce in modo più incisivo sia verso l’economia che verso la società. L’economia è parte integrante della società, si creano posti di lavoro e benessere. Abbiamo bisogno di una politica a favore dell’industria.

Quali sono i rischi maggiori che vede a livello internazionale?

Due soprattutto, la Cina e gli Stati Uniti. Il congresso del partito comunista cinese ha rilanciato l’obiettivo della loro leadership a livello mondiale. Legittimo, ma ciò per noi vuol dire che dobbiamo avere un rapporto con i cinesi basato su uno scambio più aperto e regolabile. Invece siamo svantaggiati: il problema non sono tanto i dazi, quanto le barriere non tariffarie. Per esempio in Cina esistono limiti all’acquisizione di partecipazioni di maggioranza da parte di aziende straniere.

Condividete la posizione italiana sulla concessione dello stato di economia di mercato alla Cina?

Non c’è nessun dissenso. La Cina non è un’economia di mercato nella forma che noi consideriamo tale.

Torniamo ai rischi internazionali, lei citava anche gli Usa…

Sì, il loro ritorno al protezionismo. E non solo, le retromarce su ambiente ed energia: c’è in discussione una legge su sanzioni alla Russia sulle forniture di gas che inevitabilmente si rifletterà anche su paesi terzi come quelli europei. Ripeto, dobbiamo unire le forze per contrastare questi fenomeni.

Spingere su ricerca, innovazione, digitale: è l’industria del futuro?

La trasformazione digitale è la sfida del futuro e sta a cuore alle industrie di tutti e due i paesi. Ci sono paure, anche verso questa evoluzione: personalmente non credo che ridurrà posti di lavoro, anzi creerà nuove mansioni. Comunque il digitale non si ferma alle frontiere, motivo in più per avere mercati aperti. E deve essere un obiettivo da perseguire.

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