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Lo strappo istituzionale di Renzi e i rapporti tesi con il governo

di Emilia Patta

(ANSA)

3' di lettura

La lettera inviata dal premier Paolo Gentiloni al Consiglio superiore della Banca d’Italia, con l’indicazione di Ignazio Visco come successore di se stesso per altri 6 anni, chiude una settimana di passione nei rapporti tra Palazzo Chigi e il Pd guidato da Matteo Renzi. Il quale, dopo aver lanciato il “siluro” della mozione con cui la maggioranza chiedeva alla Camera discontinuità a Palazzo Koch per la mancata vigilanza nelle recenti crisi bancarie, non sembra per nulla intenzionato a mollare la presa: da una parte dice che rispetterà la scelta di Gentiloni, dall’altra ribadisce il suo giudizio negativo sul mandato appena concluso di Visco, facendo intravvedere una pericolosa campagna elettorale all’insegna dell'attacco al governatore, complice anche la commissione di inchiesta sulle banche che ha appena iniziato i suoi lavori e che i renziani (in primis i membri della commissione Matteo Orfini e Andrea Marcucci) hanno intenzione di utilizzare proprio in funzione anti-Visco.

Renzi ripete che con Gentiloni, definito «un fratello», i rapporti restano ottimi e che la vicenda non avrà conseguenze. «Chiaro che Gentiloni sta in una scia istituzionale - dice Renzi -. Il nostro rapporto è fraterno ma su questa vicenda abbiamo due visioni opposte, siamo su linee totalmente diverse». Visioni opposte. Basta questa ammissione a far capire che i due non sono mai stati così distanti, e man mano che si avvicinano le elezioni politiche (probabilmente nei primi 15 giorni di marzo) la distanza è destinata ad aumentare. Gentiloni, anche se per qualche giorno ha provato a cercare un'alternativa al nome di Visco che gli permettesse di ricucire con Renzi, alla fine ha scelto appunto la via istituzionale come raccomandava Sergio Mattarella.

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Il capo dello Stato era preoccupato soprattutto dalla possibilità, sostituendo Visco, di creare un pericolo precedente che avrebbe finito per minare l’indipendenza di Bankitalia dalle pressioni e dalla polemiche politiche. E Gentiloni alla fine ha seguito la strada del Colle, privilegiando dunque la via istituzionale al pur importante rapporto con il leader del suo partito.
Ma la via per così dire “elettoralistica” imboccata da Renzi (l’attacco a Bankitalia è chiaramente una mossa preventiva contro la propaganda del M5S tutta incentrata sulla crisi di Banca Etruria e sul ruolo della famiglia Boschi) è una via pericolosa per i rapporti con il governo del Pd guidato da Gentiloni, che per di più ha mantenuto quasi tutti i ministri del governo Renzi.

Prendere le distanze, insomma, è operazione ardita. Come dimostra l'ultima vicenda legata alla legge di bilancio che sta per approdare nell'Aula di Palazzo Madama in un clima politico reso già incerto dall'uscita formale dei 16 bersaniani di Mdp dalla maggioranza: la vicenda cioè delle pensioni, con il vicesegretario del Pd Maurizio Martina che ha rilanciato la proposta, finora mai fatta propria da Renzi, di rinviare («solo di qualche mese, per una verifica», specifica il leader del Pd) l’adeguamento automatico dell'età pensionabile (67 anni dal 2019). Solo a settembre il consigliere economico di Renzi e responsbaile del programma del Pd Tommaso Nannicini escludeva un rinvio che avrebbe messo a repentagio il delicato equilibrio dei conti pubblici.

La domanda che molti, anche dentro il Pd, si fanno è se vale la pena, nel tentativo di inseguire qualche voto in più, mettersi su terreno dei partiti più “populisti” rischiando di minare l’immagine che in questi anni il Pd si è ritagliato di partito di governo attento alla tenuta dei conti pubblici e rispettoso degli equilibri istituzionali.

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