festa del cinema di roma

Il ritorno dei Taviani: la guerra non è mai una «questione privata»

di Eugenio Bruno

Space24

3' di lettura

Per la sua 21esima fatica Paolo Taviani, insieme al fratello Vittorio stavolta solo sceneggiatore, torna a battere terreni noti: la guerra, la resistenza, la violenza del prima, la speranza del dopo. Gli stessi che 35 anni fa avevano fatto da sfondo a La notte di San Lorenzo. Stavolta non c'è un ricordo personale alla base della sceneggiatura ma l’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, “Una questione privata”. Che ci restituisce tutta la potenza della letteratura trasposta sullo schermo. Specialmente quando si ha la “mano” per lasciare parlare le immagini (e i suoni) più che le pagine scritte.

La storia che si fa Storia
La riuscita del film presentato oggi in anteprima alla Festa del cinema di Roma sta tutta in tre inquadrature che ci restituiscono la drammaticità della lotta partigiana e della liberazione dalla dittatura fascista. Che inizia restando sullo sfondo rispetto alla vicenda privata - una sorta di impazzimento d’amore che il giovane partigiano Milton (Luca Marinelli) prova dopo aver scoperto che la coetanea Fulvia (Valentina Bellè) era in realtà affascinata dall’amico e compagno (ma in un’altra brigata) Giorgio (Lorenzo Richelmy) - e acquista spazio minuto dopo minuto, fino a riportare in primo piano la Storia rispetto alle storie delle persone che l’attraversano. Un road movie rigorosamente a piedi tra le colline (ricostruite in Val Maria) delle Langhe narrate da Fenoglio già ne “Il partigiano Johnny” in cui l'innesco della gelosia alimenta l'incendio dell'innamoramento senza però oscurare l'amicizia e la lealtà tra i due protagonisti.

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Un cinema che parla per immagini
La forza del film sta in tre inquadrature dicevamo. Nella prima Milton, che sta cercando un fascista da catturare e scambiare con Giorgio finito nel frattempo nelle mani dei nemici, incrocia il padre e la madre. Che, nel vederlo, sembrano non credere ai loro occhi e si lasciano andare a un abbraccio che racchiude in sé tutta l’assurdità della guerra. Poco dopo arriva anche la seconda scena ad alto impatto visivo ed emotivo. Grazie al piano sequenza di una bambina che si alza da una massa di corpi trucidati, rientra nella cascina a prendere dell’acqua e poi ritorna a stendersi al suo posto. Chiude il trittico di nuovo Milton in campo largo che salta disperatamente su un ponte che spera essere minato nella speranza di saltare in aria e sfuggire cosi alla rappresaglia fascista. Con il risultato che non sveliamo per non fare spoiler.

Una violenza finalmente sotto le righe
Ma oltre che di immagini il cinema è fatto anche di suoni. A volte off. Come le due mitragliate che mettono fine alla vita di un giovanissimo partigiano e di un militare fascista e di cui sentiamo solo il rumore di fondo. Senza che questa scelta stilistica sotto le righe (e verrebbe da dire finalmente) tolga nulla alla tensione e alla drammaticità del momento. Restituendoci tutta la forza di un cinema che denuncia senza sovraesporre e che racconta senza strafare. In un mix di classicità degli strumenti e freschezza degli interpreti che rende il prodotto riuscito. Se non fosse per qualche dialogo troppo ancorato alla pagina scritta e qualche prova d’attore di contorno che rende i momenti corali meno riusciti rispetto alla fuga d’amore e di Resistenza di un Luca Marinelli molto più misurato che in “Non essere cattivo” e ai flashback in cui viene ripercorso il delicato “ménage à trois” tra i tre giovani.

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