verso le elezioni

Pisapia lascia: «Con il Pd confronto impossibile». Renzi spiazzato, ex Sel con Grasso

di Emilia Patta

(ANSA)

4' di lettura

«Ci abbiamo provato. Il nostro obiettivo, fin dalla nascita di Campo Progressista, è sempre stato quello di costruire un grande e diverso centrosinistra per il futuro del Paese, in grado di battere destre e populismi. Oggi dobbiamo prendere atto che non ci siamo riusciti. La decisione di calendarizzare lo ius soli al termine di tutti i lavori del Senato, rendendone la discussione e l'approvazione una remota probabilità, ha evidenziato l'impossibilità di proseguire nel confronto con il Pd».
Poche scarne frasi, quelle di Giuliano Pisapia al termine di una lunghissima riunione con i parlamentari che fanno riferimento a lui. Che arrivano come un fulmine a ciel sereno su Largo del Nazareno.

Perché la scelta di far slittare lo ius soli per dare la precedenza al biotestamento, che a differenza della riforma della cittadinanza ha i numeri per passare in Senato, era nota già da settimane. E note a Pisapia e ai suoi parlamentari erano anche le motivazioni: un voto di fiducia sullo ius soli in Senato mentre la legge di bilancio è all'esame della Camera avrebbe esposto il governo Gentiloni al rischio di un voto di sfiducia proprio in finale di legislatura. E il capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto intendere chiaramente di non voler sciogliere le Camere e andare alle elezioni con un governo e un premier sfiduciati, tanto più che la formazione del prossimo governo si preannuncia complicata e c'è bisogno che Paolo Gentiloni resti al suo posto almeno fino a metà marzo, quando si riuniranno le nuove Camere, nel pieno dei poteri.

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È chiaro che la scelta di Pisapia di abbandonare il tavolo - oltre a confermare la sostanziale indecisione dell'uomo, che già fece saltare il tavolo parallelo con i bersaniani di Mdp - è scelta tutta politica, che poco ha a che fare con la vicenda dello ius soli. La discesa in campo di Pietro Grasso come leader di «Liberi e uguali», la formazione nata a sinistra dall’unione di Mdp, Possibile di Pippo Civati e i vendoliani di Sinistra italiana, ha funzionato come richiamo potente per tutti quei “pisapiani”, la maggioranza, che provengono dalla sinistra di Sel e che in questa legislatura hanno sempre votato contro i governi a guida Pd.

L’ex sindaco di Milano sembra ora intenzionato al passo indietro, ossia a non candidarsi con nessuna lista, mentre i suoi si divideranno tra chi si unirà alla lista capeggiata da Grasso, nella quale a fine mese dovrebbe confluire anche la presidente della Camera Laura Boldrini, e tra chi resterà nell’orbita del Pd, come il leader di Centro democratico Bruno Tabacci e i Verdi. Ma è chiaro che per il Pd di Matteo Renzi, che con la legge elettorale denominata Rosatellum ha puntato tutto sull’alleanza, l’uscita di Pisapia è un bel problema: non tanto per l’apporto di voti in sé (i sondaggi davanti una lista guidata da Pisapia al di sotto del 2%) quanto per il fatto di restare completamente esposti a sinistra. Con una coalizione molto spostata al centro e al momento costituita, oltre che dal Pd, da una lista centrista e dalla lista Pro Europa dei Radicali. Dal Pd fanno sapere che ci sarà comunque una lista di sinistra («con ex Sel di Zedda, Smeriglio, Uras, Ragosta, Stefano»), ma è chiaro che senza la spinta di Pisapia tale lista non avrà il peso di spostare l’asse dell’alleanza.

Di contro può aiutare il Pd il fatto che Angelino Alfano abbia deciso proprio in queste ore di non ricandidarsi, lasciando la guida della lista centrista a Pier Ferdinando Casini e Beatrice Lorenzin, meno invisi al popolo del centrosinistra rispetto all’ex delfino di Berlusconi.

La genesi del Rosatellum affonda le sue radici nella necessità di tenere unito il Pd. E infatti la scelta di Renzi di virare sull’alleanza, resa obbligatoria dalla presenza di collegi, ha fatto rientrare a suo tempo il dissenso del leader della minoranza interna Andrea Orlando, provocando anche un riavvicinamento tra Renzi e Romano Prodi.

Tuttavia il sistema dei collegi si può trasformare in una trappola per il Pd, che secondo alcune proiezioni rischia di perderne da 10 a 30 per la presenza capillare dei candidati della sinistra. In fondo il leader dem è ora costretto a virare ancora sul Pd a vocazione maggioritaria degli esordi, puntando cioè molto sul partito e sui risultati raggiunti dai governi di questi cinque anni. E probabilmente anche le ipotesi di “revisionare” il Jobs act già in questa legge di bilancio (indennità di licenziamento e durata dei contratti a tempo determinato) cadranno una volta venuto a mancare l’interlocutore su questi temi, ossia Campo progressista di Pisapia. Ancoraggio all’Europa e asse con il presidente francese Macron da una parte e barra dritta sulle riforme economiche di questi anni dall’altra: Renzi ha la strada segnata, nel tentativo di convincere l’elettorato di centrosinistra moderato a puntare ancora sul Pd di fronte al rischio degli opposti populismi di Lega e M5S.

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