CASO BOSCHI

Boschi-Etruria, la «nottata» in un Pd che non vede vie d’uscita

di Lina Palmerini

Sede del Pd, Roma. Ansa

2' di lettura

In una giornata come quella di ieri non sono tanto le dichiarazioni ufficiali a pesare ma quello che si dice a bassa voce, fuori dai denti, tra parlamentari amici. Nel Pd, dopo l’ennesima puntata della vicenda-Etruria - che ha toccato l’apice con la deposizione di Ghizzoni e la mail di Carrai - la sensazione era quella di essere finiti in una strada chiusa. Al momento, senza via d’uscita. Nel senso che nessuno “vede” più le dimissioni della Boschi: ormai sarebbero un’ammissione di colpevolezza. E nemmeno si parla di una sostituzione di Matteo Renzi prima del voto. È vero i sondaggi sono in calo ma un’alternativa al segretario, al momento, non c’è. Non è stata costruita fin qui e non si riuscirà a farlo in pochi mesi. Tocca, quindi, restare nell’angolo in attesa che passi la nottata. Se passerà.

C’è chi ancora spera in un sussulto delle prime file del partito, di quei dirigenti – da Franceschini a Delrio a Orlando e Martina – che mettano sotto accusa la leadership come si fece nel 2014 in una direzione, anche se quella volta il cambio fu a Palazzo Chigi sostituendo Enrico Letta con Matteo Renzi. Ma, ad oggi, non c’è un’operazione del genere perché manca il sostituto. E la suggestione di cambiare con Paolo Gentiloni è, appunto, una suggestione. Per ragioni che ormai sono evidenti: il premier “serve” al Governo. Giovedì prossimo, il 28, ci sarà la sua conferenza stampa di fine anno, subito dopo il capo dello Stato scioglierà le Camere ma il premier non sarà dimissionario quindi resterà in carica per l’ordinaria amministrazione. E rimarrà fino alla formazione delle nuove Camere quando sarà tenuto alle dimissioni. E pure dimissionario resterà fino a quando non si formerà un nuovo Governo, presto o tardi che sia. E questa è una prima ragione per cui non c’è una discesa in campo dell’attuale premier.

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La seconda, ma non per importanza, è che ormai Gentiloni ha costruito un profilo da leader di governo, non da segretario di partito. Che vuol dire che resta una figura tipica da “larghe intese” o da “riserva della Repubblica”: figure sempre più rare nel Paese e su cui – come si è visto – c’è sempre molta domanda e sempre meno offerta. Difficile, quindi, che “consumi” questo profilo in un’operazione di sostituzione del segretario tentando, tra l’altro, una missione complicata di recupero rispetto ai consensi persi.

È vero nel partito c’è la preoccupazione che la nottata non passi, che anche dopo le feste non si fermeranno le polemiche sulle banche e che il calo di consensi continuerà. Si aprirà il tema della candidabilità della Boschi, e già si è aperto. L’altra mossa è costringere Renzi a cercare un lavoro di squadra, coinvolgere i ministri più popolari, imporre un’agenda sui buoni risultati di Gentiloni. Una sponda l’ha offerta il capo dello Stato tracciando un bilancio positivo dell’ultimo anno di Governo. Peccato che la tesi di Renzi sia che i consensi scendono perché non si è andati alle urne a giugno. Anche questa visione andtà rivista in chiave di maggiore collegialità. Che si vedrà innanzitutto dall’8 gennaio, quando si comincerà a parlare di liste elettorali.

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