Testa di capretto sull'auto a Cetraro

Intimidazione a don Stamile (Libera) nella provincia della cosca Muto

(Fotogramma)

2' di lettura

Cetraro, una delle capitali della ‘ndrangheta, adagiata tra storture edilizie sull'Alto tirreno cosentino, manda ancora una volta segnali di mafia. Quelli ancestrali, che ricorrono a macabri rituali per segnare il territorio, come fanno i cani sui piloni della luce. Il re del pesce, Francesco Muto, così chiamato per il monopolio mafioso del mercato ittico, non ci sta a farsi spogliare del suo ricco patrimonio e non ne può più di sentire il fiato sul collo di magistratura e forze dell'ordine. Proprio lui, che dava del tu a Cosa nostra nei tempi andati della supremazia criminale siciliana. Lo Stato non dà tregua a lui e al figlio Luigi, considerato da investigatori e inquirenti l'unica persona in grado di reggere la cosca al posto di suo padre. Entrambi entrano ed escono dalle patrie galere come i clienti dalle porte girevoli di una hall d'albergo.

Se allo Stato si aggiunge anche la pressione delle istituzioni locali, della Chiesa e dell'associazionismo, allora il cerchio si stringe davvero intorno a questa cosca che finora ha controllato anche il respiro nella zona marittima in provincia di Cosenza. Suo il monopolio del pesce e fortissime le influenze sulle amministrazioni locali e sui settori della ristorazione, dell'edilizia, del commercio, del turismo, della guardiania. Non solo in Calabria. Il potere della cosca Muto si estende fino in Basilicata, nella Campania e nel Lazio. Molti, negli anni, i sequestri che hanno indebolito economicamente la famiglia e molti gli arresti che ne hanno messo a dura prova la forza criminale e violenta.

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Le difficoltà della cosca non sono passate inosservate alle altre famiglie di ‘ndrangheta del cosentino, desiderose di subentrare negli affari e di godere della rete di conoscenze e protezioni. E così sono due anni che la provincia è attraversata da turbolenze che rendono difficile soprattutto il periodo estivo, quando la droga scorre a fiumi sulla riviera zeppa di turisti e gli incassi del traffico di stupefacenti vanno a gonfie vele.

In questo quadro prettamente criminale e nebuloso va letta l'intimidazione ai danni di don Ennio Stamile, coordinatore per la Calabria di Libera. Mentre il sacerdote cenava in un ristorante di Cetraro con gli scout e il sindaco di Cetraro, Angelo Aita, qualcuno ha pensato bene di legare allo specchietto retrovisore esterno della sua automobile un sacco del tipo usato per la spazzatura contenente la carcassa di un capretto.

Don Stamile ha detto ai militari di non sapersi spiegare i motivi dell'intimidazione ma non ci si allontana dal vero se si azzarda l'ipotesi che la cosca Muto, assediata e ferita proprio come un capretto moribondo, ha direttamente o indirettamente una voce in capitolo. Non necessariamente in veste di attrice. Magari in quella di carcassa intorno alla quale volano gli avvoltoi delle altre cosche, pronte a tutto pur di aumentare il grado di attenzione dello Stato sulla famiglia e sull'area che, necessariamente, seguirà a questa intimidazione ad opera di ignoti.

r.galullo@ilsole24ore.com

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