centrodestra

Scontro nella Lega, Maroni contro Salvini: trattato con metodi stalinisti

di Redazione Roma

(Ansa)

3' di lettura

Tra il segretario della Lega Matteo Salvini e il governatore della Lombardia Roberto Maroni (segretario della Lega prima di lui) il clima è teso dopo il forfait di quest’ultimo a correre per il bis alla presidenza della Lombardia (rimpiazzato dall'ex sindaco di Varese Attilio Fontana) per «ragioni personali». Di fronte ai rumors che Maroni punti a un ministero o addirittura a palazzo Chigi in caso di vittoria del centrodestra, Salvini in più occasioni ha chiuso le porte a questa ipotesi («Se lasci il tuo incarico in Regione Lombardia - ha detto - evidentemente in politica non puoi più fare altro»). Ma lo scontro oggi sale di livello con l’accusa lanciata da Maroni a Salvini in una lunga intervista al Foglio di aver usato «metodi staliniani» contro di lui. Accuse alle quali Salvini decide di non replicare: («Preferisco usare il mio (e vostro) tempo per lavorare e costruire - scrive su Facebook - non per litigare o rispondere agli insulti»)

Maroni: da Salvini metodi staliniani contro di me
L’ex ministro dell’Interno parla al Foglio di «dispiacere per le dichiarazioni sprezzanti e sorprendenti» del leader del Carroccio. Poi assicura di non avere retropensieri o ambizioni inconfessate: «In tanti si affannano a dire che io non sarò ministro - spiega - ma chi vuole fare il ministro? Non pretendevo di sentirmi dire che sono stato un bravo governatore, pretendevo però che il segretario del mio partito non utilizzasse la mia scelta di vita per cercare di colpirmi». E lancia accuse pesanti: «Salvini sapeva tutto da mesi, è stato il primo a saperlo, il secondo è stato Berlusconi, ed è stato Salvini a concordare con me le tempistiche dell’annuncio. Io sono un leninista convinto, uno che crede nella leadership. Ma non avrei mai creduto di trovarmi di fronte un leader stalinista».

Loading...

«Estremismo malattia infantile della politica»
Maroni ammette che il timore di Salvini possa essere quello di sentirsi “scavalcato”. E che il suo passo indietro possa essere stato interpretato da Salvini come un passo avanti per candidarsi (magari con la benedizione di Berlusconi) a palazzo Chigi. «Credo che il ragionamento, sbagliato, sia stato questo. Ma - aggiunge - io sono una persona leale. Sosterrò il segretario del mio partito. Lo sosterrò come candidato premier. Da leninista, non posso sopportare di essere trattato con metodi stalinisti e di diventare un bersaglio mediatico solo perché a detta di qualcuno potrei essere un rischio». E aggiunge: «Consiglierei al mio segretario di rileggersi un vecchio testo di Lenin. Ricordate? L'estremismo è la malattia infantile del comunismo. Se solo volessimo aggiornarlo ai nostri giorni dovremmo dire che l'estremismo è la malattia infantile della politica». E sul suo futuro dice: «Vorrei seguire la mia passione civile da avvocato penalista e la mia passione umana da amante delle imprese giovanili, per poter far nascere imprese innovative».

Diverse idee sul rapporto politica-giustizia
Tra Maroni e Salvini c’è da tempo freddezza. Pesano questioni personali ma anche il disaccordo con il cambio di linea politica, diventata troppo sbilanciata a destra e troppo lontana dal Nord. Sul Foglio il presidente della Lombardia ammette tratti di incompatibilità culturale con il suo segretario vi è anche un’idea diversa del rapporto che deve avere la politica con la giustizia: «Possiamo dirlo - spiega - È così. È questo uno dei tanti motivi che mi hanno spinto a ragionare su un futuro diverso, lontano da un modo di fare politica».
«Devo anche riconoscere - prosegue Maroni - che in questi giorni sono stato massacrato dai miei compagni di squadra, che hanno scelto di dare alla mia vita nuova un’interpretazione del tutto arbitraria, mentre sono stato ricoperto di affetto e amicizia da un mondo politico lontano da me, e questo mi ha
colpito». Maroni si riferisce a un sms di Matteo Renzi, e «tanti altri. Ma una telefonata - rivela - mi ha fatto particolarmente piacere: quella di Giorgio Napolitano. Siamo stati quindici minuti al telefono, con simpatia e affetto»

«Non rottamare il Jobs act»
Maroni dice «sì all’euro». E parla anche del Jobs Act (attaccato recentemente da Berlusconi) dicendo che non va rottamato: «Non scherziamo. Se mai, migliorato. Purtroppo tutto questo non si può dire perché in campagna elettorale, e vale anche per questa campagna elettorale, da una parte e dall'altra ci sono spesso valutazioni su questi temi che prescindono dal merito, frutto di perversi atteggiamenti ideologici in base ai quali tutto quello che è stato fatto prima di noi deve essere cancellato. Questa non è politica, è propaganda».

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti